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CONDANNATO A 4 MESI

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Il «caso via Bellerio» all'esame della Corte Bossi rischia la galera

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Da oggi infatti i giudici della Consulta inizieranno l'esame del conflitto di attribuzione sollevato contro la Procura della Repubblica di Verona dalla Camera dei deputati, che contesta la legittimità di quella perquisizione in quanto avvenuta senza la necessaria autorizzazione a procedere come previsto dall'articolo 68 della Costituzione. La vicenda, come detto, si trascina dal 18 settembre del 1996 e attualmente è pendente dinanzi alla Corte di Cassazione, dove una conferma della condanna di Bossi potrebbe determinare l'ingresso in carcere del ministro delle Riforme per scontare la pena, per il venir meno dei benefici di legge a causa dell'esistenza di precedenti condanne. I magistrati di piazza Cavour per ora hanno rinviato al prossimo 9 febbraio l'esame del caso, in attesa del pronunciamento dei giudici costituzionali, che peraltro già si occuparono della questione sotto un altro profilo nel 1999. Il 10 novembre del 2001 arriva la sentenza della Corte d'Appello, che conferma la condanna per Bossi e per gli altri colleghi di partito per resistenza a pubblico ufficiale. A quel punto i deputati leghisti si rivolgono nuovamente alla Camera, sostenendo che quel 18 settembre del 1996 fu perquisito un ufficio di un deputato, nel caso specifico quello di Roberto Maroni, senza la necessaria autorizzazione a procedere richiesta dall'articolo 68 della Costituzione. Circostanza che vizierebbe quindi sia l'azione disposta dalla Procura della Repubblica di Verona. Della questione si occupa la Giunta delle Autorizzazioni a procedere della Camera, che non riesce ad arrivare ad un orientamento unanime. Il presidente Vincenzo Siniscalchi ritiene che non ci siano i presupposti per rivolgersi alla Corte costituzionale, ma la sua proposta viene respinta. Passa invece quella di segno opposto della leghista Carolina Lussana. Tutto ha inizio il 18 settembre del 1996: le Forze dell'Ordine si presentano nella sede del Carroccio di via Bellerio a Milano per eseguire una perquisizione disposta dal pm di Verona Guido Papalia che indaga sulle «camicie verdi». Nel mirino, in particolare, l'ufficio del loro leader Corinto Marchini. Ne scaturiscono una serie di scontri che vedono protagonisti vari esponenti della Lega, tra i quali, oltre al leader Umberto Bossi, anche gli attuali ministro del Welfare Roberto Maroni e vicepresidente del Senato Roberto Calderoli.

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