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Castelli e le toghe nere, dialogo tra sordi

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Dopo l'attacco («fermiamo i magistrati Cobas») il ministro della Giustizia si era appellato alla collaborazione

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Contestazioni e applausi. Ha alternato luci ad ombre l'inaugurazione dell'anno giudiziario nelle diverse città. Prima ancora che il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, iniziasse il suo intervento a Napoli, avevano già scatenato il putiferio le sue dichiarazioni pubblicate ieri su un quotidiano: «Fermiamo i magistrati Cobas. Ormai sono isolati, hanno tutti contro». E, riferendosi agli attacchi del presidente dell'Associazione nazionale magistrati (Anm), Bruti Liberati, il Guardasigilli si è chiesto: «Perché dice bugie? È fin troppo facile smentirlo sui dati». Diverso il tono del suo discorso, con rare pennellate polemiche. Davanti ai magistrati in piedi per protesta Castelli si è detto intenzionato a «continuare ostinatamente e a ricercare la strada del dialogo, pur in assenza talora di reciprocità da parte degli interlocutori». Poi è entrato nel vivo delle questioni, dalla durata dei processi al rapporto tra i poteri, dalla tortuosa strada delle riforme alla politica giudiziaria dell'Ue. Il ministro ha rivolto un invito al recupero di autorevolezza della giustizia. «La magistratura in Italia ha una grande autorità ma - si è chiesto - è anche autorevole?». Ha quindi affermato di trovare «veramente controproducente dover assistere a una campagna di discredito della giustizia messa in atto, inconsapevolmente, dai suoi stessi attori». Ha inoltre sottolineato la necessità di un riequilibrio di poteri che appaiono sbilanciati a favore delle toghe. Dopo aver citato la sentenza della Consulta sul lodo Schifani («che doverosamente rispettiamo»), il ministro della Giustizia ha sostenuto che «induce a pensare che resti ancora molto da fare per superare questa fase storica». Poi Castelli è tornato a parlare in serata: «Sembra un dialogo fra sordi. Malgrado i miei appelli, la giornata è terminata non con l'ottimismo della volontà, ma con il pessimismo della ragione». E mentre il ministro della Giustizia parlava, in diverse città sfilavano in aula le toghe nere, a Torino si udivano risate di scherno, a Palermo, Bari, Salerno e Venezia i magistrati uscivano dall'aula durante la lettura dell'intervento del ministro o lo interrompevano. Dall'Anm della Sardegna partiva un invito allo sciopero. Recava la firma dell'Anm anche il manifesto affisso da qualche giorno in tutti gli uffici giudiziari, che mette sotto accusa la macchina della giustizia, «sempre più inefficiente». A Roma, invece, pur indossando la toga nera, i magistrati hanno applaudito il sottosegretario alla Giustizia, Michele Vietti. Intanto, si intrecciavano le reazioni di chi metteva sul banco degli imputati i magistrati contestatori. Come il presidente dell'Antimafia, Roberto Centro («proteste immotivate»), il ministro per i Rapporti col Parlamento, Carlo Giovanardi («il problema della giustizia italiana è l'overdose di polemiche»), il sottosegretario all'Interno, Alfredo Mantovano («l'attentato all'autonomia dei magistrati viene dall'interno della categoria»). Sull'altro piatto della bilancia c'erano gli accusatori. Come il presidente del Verdi, Alfonso Pecoraro Scanio, che ha invitato Castelli a dimettersi, l'ex procuratore generale di Milano, Francesco Saverio Borrelli, che ha definito il Guardasigilli di «statura assai modesta sia politicamente che tecnicamente».

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