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Vespa al posto dei sei minuti di Biagi

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Bruno Vespa interviene così sulla possibilità che sia proprio lui il detentore di quei sei minuti di approfondimento quotidiano che vanno subito dopo il Tg1 della sera (erano di Enzo Biagi) e che fanno parte anche della contro programmazione della Rai nei confronti di «Striscia». Una questione che vede di nuovo contrapposti il direttore generale Flavio Cattaneo e la presidente Lucia Annunziata. Il primo - orientato a pescare nel vivaio dei giornalisti Rai - penserebbe a Vespa. La seconda, invece, preferirebbe altre soluzioni e sulla questione ha anche scritto al Cda motivando la sua opposizione a Vespa («straordinario professionista») con la necessità di non sovra esporre il conduttore di «Porta a porta». «Punto primo - ha spiegato Vespa - si tratta solo di un'ipotesi. Punto secondo, sono solo sei minuti e la fascia la occupa Bonolis che fa la vera concorrenza a "Striscia". E non è affatto detto che li faccia io». «Se mai dovessi essere coinvolto - ha aggiunto - è certo che non occuperei da solo quel piccolo spazio. Nel senso che, come si è convenuto fin dal primo momento, ci sarebbe una rotazione. Con chi, come e quando, e ammesso che io sia coinvolto, è ancora tutto da stabilire». Intanto, il popolo italiano del video appare compatto sul fronte del basso gradimento dei programmi interamente dedicati alla politica. Da un'analisi dei dati Auditel condotta da Klaus Davi, in collaborazione con Tecnomedia-Omd (per il settimanale «Sorrisi e canzoni»), che compara gli ascolti dei maggiori format di dibattito parlamentare nel periodo dal 1° gennaio al 15 dicembre 2002 con gli stessi del 2003, il segno negativo su share e telespettatori è una costante, sia che il target di riferimento sia composto da uomini, donne e, più ragionevolmente, bambini. Uniche eccezioni Bruno Vespa, che anche con le sue puntate politiche supera il 21% e la tenuta di Anna La Rosa, con «Telecamere», che regge alla forte controprogrammazione. Appena il format diventa dedicato al politichese puro gli spettatori scappano letteralmente da video. Una regola che vale sia per la Rai che per Mediaset. La considerazione finale che se ne trae è che la disaffezione del pubblico televisivo ai programmi interamente dedicati alla politica è globalizzata. «Il calo di audience è dovuto alla sostanziale autoreferenzialità linguistica dei politici, non certo alla bassa qualità delle trasmissioni» commenta Klaus Davi.

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