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Una Centrale di speculazioni, beffe e inchieste

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Fu la fine di una battaglia per la privatizzazione dell'azienda iniziata più di un anno prima ma anche l'inizio di una serie di indagini da parte della magistratura e di interventi addirittura dell'Unione Europea. In effetti se quell'acquisto piacque a molti, il sindaco Rutelli in testa, primo attore e artefice di tutta la vendita insieme all'assessore al bilancio Linda Lanzillotta, qualcuno già all'epoca lanciò l'allarme che nell'affare c'era qualcosa che non funzionava: Alleanza Nazionale e Rifondazione Comunista per mesi si sgolarono in consiglio comunale e in piazza per dire che si trattava di una vera e propria «svendita» di un bene della città, visto che un'azienda che era stata valutata 106 miliardi era stata ceduta a 80, esprimendo anche tutta la preoccupazione per il futuro dei produttori. Ma a suscitare sospetti fu anche il modo in cui avvenne la cessione. Il gruppo Cirio arrivò ad acquistare la Centrale perché fu l'unico a firmare il contratto di acquisto proposto dalla banca J. P. Morgan, che era l'Advisor del Comune. Gli altri concorrenti — «Granarolo», «Lattesano» che riuniva un centinaio di produttori laziali, e «Parmalat» — non accettarono le clausole proposte. A quel punto La J. P. Morgan presentò alla Giunta il proprio parere nel quale spiegava di preferire proprio la Cirio. E il Comune non fece altro che ratificarlo. Ma il colpo grosso doveva ancora arrivare. Dopo aver perso il primo round infatti Calisto Tanzi si aggiudicò la Centrale nemmeno due anni dopo, il 2 febbraio del '99. Ma, ancora una volta, chi fece il vero affare fu Cragnotti che, dopo averla comprata a 80 miliardi, la rivendette alla Parmalat a 180, nell'ambito di un'operazione finanziaria che portò tutto il pacchetto della Cirio all'azienda di Collecchio. Il tutto facendosi gioco anche del Comune che nel contratto aveva inserito una clausola che prevedeva che l'azienda non potesse essere venduta prima di cinque anni. Con la spregiudicatezza che lo ha contraddistinto, Cragnotti arrivò a una mediazione e versò nelle casse capitoline una penale di 15 miliardi. Ma a quel punto a volerci vedere chiaro fu la magistratura che avviò un'indagine proprio sul passaggio della Cirio alla Parmalat. Anche sulla scorta di un parere dell'Authority cittadina che aveva giudicato «illegale» quel contratto. Di quell'inchiesta, però, non si è saputo più nulla. Così come nulla è più trapelato sull'intervento dell'Unione Europea. Bruxelles, dopo le interrogazioni di alcuni europarlamentari, tra cui quelle di Roberta Angelilli e Antonio Tajani, intervenne, nel 2000, con un capolavoro giuridico: la ex azienda municipalizzata fu sollecitata a versare al Campidoglio quasi cento miliardi di lire, cioè gli aiuti concessi dal Comune per ripianare le perdite dell'azienda dal '92 al '97. I soldi però non avrebbero dovuto essere sborsati dall'attuale proprietà ma dalla vecchia Centrale in liquidazione. Che però apparteneva al cento per cento al Campidoglio.

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