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La guerra di Tonna alla nipote di Tanzi Paola Visconti ha passato nel gruppo dieci anni ma il manager l'ha sempre emarginata

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È la sua storia in Parmalat quella che Paola Visconti, classe 1967, ha riversato nei verbali dal pm Antonella Ioffredi la sera del 30 dicembre scorso, dopo essere stata indagata per concorso in quella lunga serie di reati che da Milano a Parma hanno stritolato i vertici del gruppo agroalimentare. La giovane nipote di Calisto Tanzi è partita dall'inizio della sagra familiare, da quando cioè nonno Melchiorre morì lasciando ai figli una piccola aziendina e il «pallino» per il tetrapak. I giovani Tanzi sono tre: c'è Calisto il più grande, c'è Gianni che ancora studia, e c'è Annamaria, la mamma di Paola Visconti. A quest'ultima il padre lascia una somma pensando alla sua dote, mentre ai figli maschi consegna le chiavi della piccola azienda. Di fatto è Calisto a seguire le orme del padre. Ma per fare il salto di qualità che ha in mente gli occorrono quei soldi che non ha. Ed è così che li chiede ad Annamaria, che nel frattempo ha sposato un medico benestante e si è trasferita a Venezia, dove ha avuto cinque figli. Annamaria dà il denaro al fratello che li mette nella Dietelat, di cui intesta il 50% delle quote alla sorella. La storia prosegue e vede Calisto diventare sempre più importante con la sua Parmalat, seguito con orgoglio, ma sempre a distanza, dalla sorella impegnata a crescere i figli. E si arriva al 1993 o 1994, quando Paola Visconti si laurea e chiede alla mamma di intercedere presso lo zio, così da poter entrare nel gruppo forte, tra l'altro, di una quota del 15%, frutto della «vecchia» comproprietà in Dietalat, che ormai non esiste più. Paola viene assunta, «ma lo zio non mi vedeva di buon occhio, mi scoraggiava». E così viene mandata alla fabbrica di Termini Imerese come assistente di un dirigente del gruppo, Baratta. Dopo qualche anno Baratta viene chiamato a Collecchio e lei lo segue, come «quadro», ma senza nemmeno un ufficio. Il suo compito, dopo un po', diventa quello di assistere Tonna nelle questioni industriali e operative, soprattutto sul fronte delle acquisizioni. Tonna sembra apprezzare il suo lavoro e così, per assicurarle un aumento di stipendio, la inserisce, ma senza deleghe, nel Cda di società controllate. Passano così altri quattro anni e Paola Visconti si rende conto che la gestione industriale del gruppo è troppo circoscritta a Calisto Tanzi e a Tonna. Così propone allo zio di riorganizzare il vertice sulla scia di altre grandi imprese. Ma Tonna lo viene a sapere e comincia ad emarginarla e a farle la guerra. Paola Visconti si ritrova alla fine così esclusa da decidere di andarsene e vendere anche la quota che possiede. Lo zio prima le dice di trovare un acquirente esterno, poi fa marcia indietro e decide di acquistarle lui un 3% del pacchetto purché si dimetta da tutti i Cda e abbandoni l'azienda. L'accordo tra Paola e lo zio è di un saldo di 50 miliardi delle vecchie lire per il 3% delle azioni, da versarsi in otto tranche semestrali, e di altri tre miliardi, sempre delle vecchie lire, per la sua liquidazione. Tutto questo accade nel dicembre del 2002. Paola esce da Collecchio. E a metà del 2003 riceve la prima tranche delle somme che le spettano. Poi più niente. Dall'interno Tonna comincia a contestarle tutto. Sperava che la questione potesse risolversi, ma a dicembre scoppia l'inchiesta. E lei, come tanti altri, si ritrova nel vortice delle indagini in compagnia di quello zio e di quel «superiore». «Volevo solo un'amministrazione più moderna e non mi sono mai occupata di questioni finanziarie» ha detto a verbale Paola Visconti. Ma, al momento, resta indagata.

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