Legge tv, Palazzo Chigi tratta col Quirinale Via libera al decreto Rete4-Rai3, il Sic sarà ridotto: paniere ristretto e quote di mercato più basse
Seguendo le riservatissime vie diplomatiche, due partiti della maggioranza, An e Udc, hanno aperto con il Quirinale un fitto dialogo per modificare il disegno di legge Gasparri. Una trattativa che è seguita direttamente anche a Palazzo Chigi. Interessato al filo diretto è innanzi tutto Gianfranco Fini (la sua frase «Alcuni rilievi di Ciampi sono da recepire» è stata ovviamente molto gradita dal Colle). C'è anche l'attenzione del sottosegretario alla presidenza Gianni Letta e del segretario generale Antonio Catricalà che tengono i contatti con Gaetano Gifuni, segretario generale della Presidenza della Repubblica. Al centro della trattativa ovviamente ci sono due provvedimenti: il decreto per salvare Retequattro e Raitre e le modifiche da apportare al disegno di legge Gasparri. Il Quirinale avrebbe dato un sostanziale via libera al provvedimento d'urgenza. Il Colle però vuole che ci sia una chiara apertura alle motivazioni del presidente della Repubblica sul rinvio del ddl per la riforma tv. Insomma, un gesto che vada nettamente nella direzione opposta a quel «Non le ho lette e non le leggerò», pronunciato da Berlusconi. D'altro canto nelle ultime ore sono stati in molti, tra i collaboratori più stretti del Cavaliere, che hanno consigliato al premier di evitare accuratamente altre dichiarazioni sul caso. Dunque, si tratta. Il decreto che salverà Fede e il terzo canale Rai arriverà a fine d'anno, probabilmente lunedì 29 dicembre: il Parlamento avrà due mesi di tempo, quindi fino a fine febbraio, per modificare il disegno di legge. «Bisogna rivotare tutto articolo per articolo», spiega Paolo Romani, presidente della commissione Trasporti e Comunicazioni che da oggi ricomincerà al discussione. Il riesame è una strada breve e tortuosa, impraticabile se l'Ulivo si mette di traverso. La trattativa vera, dunque, è sul ddl. La prima richiesta del Quirinale riguarda il Sic, il sistema integrato della comunicazione, una torta da 32 miliardi di euro. Troppo, assicurano gli esperti. Si lavora a una limatura del paniere nel quale ci sono la pubblicità classica e area allargata, l'entertainment (cinema, musica, home video, ricavi di Sky), le produzioni tv (cinema e tv), il canone Rai, le vendite dei giornali, le pagine gialle, l'editoria libraria e i ricavi delle televendite. Molto probabilmente usciranno le ultime quattro voci che da sole pesano quasi nove miliardi. Il limite di antitrust per le posizioni dominanti era fissato al 20% che il Colle vorrebbe ritoccare al 15%. In questo caso il gruppo Mediaset (come gli altri) avrebbe un limite di raccolta pubblicitaria di circa 3,45 miliardi contro i 6,4 di oggi. Altro punto al centro del contendere è l'avvio del digitale terrestre. Oggi la verifica per valutare lo start up è di un anno, che verrebbe drasticamente ridotta probabilmente a sei mesi (o forse anche meno). E soprattutto dal Quirinale si chiedono le sanzioni per chi non rispetta i tempi e i limiti per l'avvio del nuovo sistema, condizione per continuare a trasmettere via etere. «È finita la bella stagione per Mediaset», commenta uno degli ambasciatori del governo. Messaggi in questo senso pare siano arrivati anche a Fedele Confalonieri, leader del gruppo che fa capo alla famiglia del premier. Ma l'intera trattativa, spiega uno dei protagonisti, è un percorso minato. La mina più grande si chiama Berlusconi. Il premier non ha affatto digerito la bocciatura, ce l'ha con il Quirinale perché ritiene che nel varo del ddl siano state recepite tutte le richieste di modifica fatte da Ciampi. Il rinvio a Montecitorio di lunedì lo considera un brutto tiro, non totalmente corretta. Ed è dell'idea di rendere tutto pubblico, il che ovviamente manderebbe a monte la trattativa.