ALBERTO ARRIGHI

Insomma, il giovane parlamentare è nel mezzo della trattativa tra i due. Quando parla misura le lettere. Arrighi, Storace chiede il congresso. Lo seguirete? «Storace chiede un dibattito ampio, approfondito, che scavi alle radici. E siamo d'accordo con lui». Quindi appoggerete la richiesta del congresso? «C'è l'assemblea nazionale del 23, in quella sede parleremo». D'accordo, ma se Storace presenterà una mozione per chiedere un congresso? La firmerete? «Non credo che Francesco lo farà. Almeno non lo farà il 23. Ma se andiamo avanti così, eludiamo il problema». E qual è il problema secondo lei? «L'identità. L'identità di An. Qual è l'identità di An?». Appunto, qual è? «Ecco, questo è il punto. La nostra è un'identità costruita per spoliazione successive. Da Fuggi '95 in poi, prima abbiamo detto che non sia questo, poi che non siamo quello, poi che non siamo quell'altro ancora. Se non costruiamo altro, alla fine, domando, che cosa siamo? Ci siamo tolti pezzi del nostro corpo. Oggi un braccio, domani una gamba. Non capisco che cosa resta». Onorevole, sono passati otto anni da Fiuggi. Ve ne siete accorti solo adesso? «No, si è trattato di un processo, a tratti lento e a tratti più veloce. Ma comunque di un processo. E, diciamolo sinceramente, abbiamo commesso degli errori strada facendo. Se può essere utile, anche io penso di averne commesso qualcuno». A quali errori si riferisce? «Penso proprio al confronto identitario che in larga parte è mancato. Sarebbe stato necessario un dibattito serrato e intenso per esempio tra intellettuali, base ed elettorato. Non c'è stato e per questo oggi troviamo che in tanti hanno molti dubbi e perplessità». Per esempio? «Qual è il mito fondante di An? Quali sono oggi i nostri valori di riferimento? Siamo un partito liberalconservatore? O stiamo per diventarlo? È quello che si chiedono i nostri e qualche volte ci chiediamo anche noi. Non mi sembra poco e non è il caso di sottovalutare». Lei c'era all'Hilton. Chi c'era con Storace? «C'era e c'è quella parte di An che ha visto l'ennesima non identificazione nel partito. È una parte del nostro popolo, non possiamo riderci sopra». È la parte che è rimasta indietro? Che non ha capito la svolta? «Senta, credo che stiamo tutti facendo una scalata. Non esiste l'uomo solo al comando. Siamo tutti della stessa squadra». Ne è convinto? «Se c'è l'uomo al comando, intendo dire chiunque ha una responsabilità del partito, faccia in modo che tutti si sentano partecipi della nuova identità ». O l'uomo al comando è Gianfranco Fini, che sta facendo una corsa solitaria e tutti gli altri restano indietro? «Assolutamente no. Lo ha detto lo stesso Fini: il suo destino non è separato dal quello del partito». Ma anche in movimento giovanile è in subbuglio? «Mi preoccupo del fatto che i no global portano in piazza 500mila persone noi forse nemmeno 500. Purtroppo è anche colpa di chi dice che anche noi abbiamo il nostro Giuliano e non si chiama Carlo ma Rudolph». F. D. O.