Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

Il governatore: «Noi siamo l'anima di An, la fiamma non si tocca Via tutte le strade che si chiamano Palmiro Togliatti». Fischi a Fini

default_image

  • a
  • a
  • a

più cuore, più cuore, più cuore per dare un'anima ad Alleanza nazionale». Si conclude così, in un'autetica ovazione, il discorso di Francesco Storace alla sua convention all'Hotel Hilton di Roma. Esattamente come quello che si concluse quello che pronunciò lo stesso presidente della Regione Lazio nell'aprile del 2002 a Bologna, al congresso di An. In questo anno e mezzo Storace elenca i motivi che hanno portato una parte del partito al dissenso. Anzi per dirla con lui, la base di An è quella dell'Hilton, sono gli altri che stanno sbagliando. Tanto che dice chiaro e tondo: «Noi vogliamo discutere; se nella famiglia non si parla, la famiglia si sfascia, si va al divorzio. Ma non saremo noi a fare le valigie da casa nostra». E cosa chiede Storace? Chiede un «cambiamento di rotta». Perché così non va. «Abbiamo rinunciato al presidenzialismo per il premierato», dice. Nel mirino finiscono la legge Cirami, la cartolarizzazione degli immobili, «la legge sulla comunicazione». E dunque, «quanto sarebbe bella la politica italiana se Bossi contasse per i voti che ha». In definitiva «l'unica gioia che può darci questo governo è il voto per gli italiani all'estero dopo una quarantennale battaglia di Mirko Tremaglia». E qui scatta la standing ovation al ministro che è in sala, ma una voce solitaria invoca: «Ce dove sta anche qualche altro ministro». «Ho letto che qui stasera ci sono tanti curiosi: sarà un refuso, ci sono tanti furiosi», aggiunge il governatore della Regione Lazio. Nella seconda parte del discorso, a poco a poco, Storace svela il suo vero obiettivo: Fini. Attacca con il voto agli immigrati («si dà il diritto al voto, ma non si danno i soldi per assicurare loro la salute») per poi passare al listone unico per le Europee nel quale dovrebbero confluire i partiti della Casa delle Libertà. Storace non ci sta e avverte: «Sarebbe un listone indistinto, vogliamo avere il diritto di votare il nostro simbolo». La fiamma non si tocca, dunque. In più il governatore della Regione Lazio avvisa che si è costituita un'associazione promotrice della «Lista Storace». «Persino Veltroni quando s'è candidato a sindaco l'ha fatta - spiega Storace - persino Fini quando si candidò a sindaco la fece». Una lista che lascia intendere il governatore si aggiungerà a quelle della Cdl alle Regionali del 2005 «ma se non ci sarà quella con il nostro simbolo alle Europee - spiega - siamo pronti a convocarci in assemblee dell'associazioe per la Lista Storace in tutta Italia per decidere che cosa fare». Il finale non lascia dubbi. È una dura critica a Fini, peraltro contestato e fischiato a più riprese: «Fallo dimettere», «Se ne deve annà», «Se ne vada» gridano dalla platea in molti placati dallo stesso Storace. Al centro della contestazione ci sono le frasi di Gerusalemme sul fascismo e sulla Repubblica di Salò: «Solo Diliberto dice quello che ha detto Fini». E ricorda le parole di Ciampi sulla Rsi. «Oramai fa tutte le cose che chiede la sinistra, tra poco invece di chiedere l'iscrizione al Ppe la chiederà direttamente all'Internazionale socialista. Di questo passo chiederà di restituire l'Alto Adige all'Austria». Se la prende con i democristiani entrati in An: «Nessuno gli ha chiesto di rinnegare don Sturzo». Qualcuno grida ancora indirizzato al leader: «Mandalo a casa». E Storace ribatte. «Prima gli chiediamo un ultimo gesto. Si presenti a Montecitorio e dica alla sinistra di chiedere scusa per le stragi dei partigiani, per le foibe e chieda a Veltroni e a tutti gli amministratori locali di sinistra di togliere tutte le strade intitolate a quel carnefice di Palmiro Togliatti». Partono anche fischi a La Russa: «No, state calmi - dice - lui la pensa come noi». E siamo al finale. «Chiedo un congresso straordinario per decidere la rotta politica e ciò vale anche per la dirigenza perchè vogliamo capire se possiamo continuare ad andare avanti con Fini o dobbiamo cambiare», dice Storace. «Un congresso vero», insiste. Anche se dopo la convention si ferma a fumare una sigare

Dai blog