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FABIO TORRIERO

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Io dirigo una rivista che si chiama «La destra» e non mi vergogno. Sembra una battuta ma rispecchia la realtà. Se stiamo perdendo la battaglia delle idee, la battaglia delle parole l'abbiamo persa già da un pezzo. Destra sì, dunque ma quale destra? È l'interrogativo che dobbiamo porci. Ci sono la destra della cultura, mi riferisco ai filoni liberal-conservatori, cattolici, nazionali, post fascisti che bisogna rappresentare, sintetizzare e aggiornare. Poi c'è la destra diffusa nella società che secondo precisi studi, oscilla intorno al 37, 38%. Questa destra chiede alla destra politica (che non supera la soglia del 12%) la risposta a 4 domande: due di cambiamento (democrazia diretta e riforme); due di conservazione (l'identità e la legalità). Cosa ha fatto la destra politica (An rispetto a se stessa e rispetto alla Casa delle Libertà) per colmare questo gap e intercettare la destra della società? Io sono favorevole alle aperture (immigrazione di qualità e il viaggio in Israele), ma in quanto a rapporto tra cultura storia e politica, andiamoci piano. La cultura sono le idee, la storia è lo scenario, la politica è la realizzazione delle idee. Se si perde questo legame la cultura diventa astratta, la storia diventa autopsia e la politica diventa marketing/partito-azienda. Si può guardare avanti restando se stessi. An è soltanto un percorso, è un partito pubblico, alla cui evoluzione dobbiamo contribuire tutti: gli intellettuali e i politici. La soluzione consiste nella attualizzazione: le idee non vanno rimosse né ingessate. Quello che bisogna evitare è la "mistica del ghetto" (il pensiero unico missino) da una parte e la sindrome da legittimazione (pensiero unico liberale) dall'altra. Le idee si legittimano da sole senza professori alla Galli della Loggia. Il partito a due velocità (An), in questo momento, può salvare le due anime: quella rappresentata da Fini e quella rappresentata da Storace. In prospettiva bisogna trovare una soluzione». Direttore di "La destra"

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