di GIUSEPPE PENNISI

A maggioranza qualificata, i Ministri di Eurolandia hanno approvato una 'conclusione del Consiglio dei Ministri' in cui, ha riferito il ministro Giulio Tremonti, viene indicata «Una soluzione tecnica positiva e coerente con lo spirito e la lettera del Patto»". Il Tempo la aveva anticipata da circa due settimane, avvertendo che un'interpretazione rigida avrebbe portato ad un "de profundis" per il "patto" alla sconfessione della Commissione Europea. All'indomani della decisione dei Ministri dell'area dell'euro chiediamoci chi esce vincente e chi perdente dalla lunga notte negoziale di Bruxelles. Sotto il profilo economico, vincono le probabilità di rimettere in moto il motore della crescita - un motore che dipende dall'andamento di Francia, Germania, Italia e Spagna, i quattro "grandi" dell'Eurogruppo. Chiare e forti le stime dei 20 maggiori centri privati di analisi econometrica: se allentando i lacci del patto, tre dei quattro "grandi" si rimetteranno in moto (la Spagna cresce già al 2,5% circa l'anno), il tasso d'aumento del pil dell'area dell'euro potrà passare dall'esangue 0,4% del 2003 ad un incoraggiante 1,8% nel 2004 e sfiorare il 2,5% nel 2005. Maggiore crescita vuole dire anche più risorse per affrontare i problemi sociali. A rafforzare questa interpretazione, proprio la notte del 25-24 novembre veniva messo sul web un lavoro molto tecnico di Joao Valle Azevedo (Università di Amsterdam), S.J. Koopman (Tinbergen Institute), e Antonio Rua (Banca del Portogallo) in cui si propone un nuovo indicatore statistico di crescita per l'area dell'euro; un augurio per una svolta, dopo che anni di politiche restrittive hanno portato alla stagnazione, nonché a tendenze recessive. Non sarà certamente sufficiente un allentamento dei vincoli per arrestare l'arretramento dell'Europa e rendere di nuovo proponibile l'obiettivo del Consiglio Europeo di Lisbona del marzo 2000 di rendere l'Ue l'area più dinamica dell'economia mondiale. Un saggio acuto, ma discutibile, di Roberto Petrini ("Il declino dell'Italia", Laterza 2003) pone le carenze della classe dirigente e del contesto socio-istituzionale all'origine delle difficoltà del nostro Paese di tenersi al passo con il progresso nel resto del mondo. Il nodo riguarda, però, l'intera area dell'euro, caratterizzata da una demografia in progressivo invecchiamento, da una struttura produttiva matura e da lacci socio-istituzionali che frenano l'innovazione produttiva ed il rinnovo della classe dirigente. Senza un contesto di crescita, il nodo non può neanche essere affrontato. Sotto il profilo istituzionale, esce perdente la Commissione Europea. Altro non ci si poteva aspettare: è ormai così dequalificata dalla Presidenza Prodi definita da uno dei maggiori quotidiani europei come "la peggiore" da quando nel 1958 è iniziato il cammino verso l'Unione Europea (Ue). Il superperdente è il Commissario Pedro Solbes, già in guai molto seri per l'"affare Eurostat" come risulta dai documenti pubblicati su Il Tempo del 18 novembre. Esce vincente il Consiglio dei Ministri, espressione di Governi democraticamente eletti, non di burocrati nominati dagli Esecutivi al termine di estenuanti mercanteggiamenti. Esce soprattutto vincente l'Italia, attualmente alla guida degli organi di governo dell'Ue e la cui proposta è stata accettata dal Consiglio.