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«Violante ha truccato le carte»

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L'aula del Senato ascolta in religioso silenzio. Giulio Andreotti parla. La sua è quasi una lezione. Tutt'intorno un gruppo di senatori segue il suo discorso, parola per parola. Ma il sette volte presidente del consiglio non è venuto a togliersi un sassolino dalla scarpa, ma un macigno dallo stomaco. Il suo è una sorta di atto dovuto «lo dovevo al Senato», dirà ai suoi collaboratori. Doveva tornare e spiegare quanto accaduto, tanto che alla fine il presidente dell'aula, Marcello Pera, chiudendo la seduta dirà: «Qualcuno, presumibilmente, le chiederà scusa». Ma il sette volte presidente del Consiglio non cerca scuse. E non cerca nemmeno lo scontro con la sinistra, neppure con Luciano Violante anche se è proprio da lui che parte il discorso. Quella del presidente dei deputati Ds alla Camera mercoledì è stata «una lunga excusatio non petita». «A smentirlo - afferma il senatore a vita - c'è la stessa lettera di trasmissione. Perché Violante si rivolge al magistrato Scarpinato in maniera impropria. Facendo riferimento a indagini in corso. Ma all'epoca Palermo non aveva alcuna indagine riguardante Mino Pecorelli». Ma, cosa più grave, è che - racconta Andreotti - Violante, ricostruendo la vicenda alcuni giorni fa, ha omesso proprio il passaggio in cui si allude alle indagini in corso e soprattutto a Scarpinato quale «titolare delle indagini», quando l'inchiesta non era ancora cominciata. Insomma, l'esponente della sinistra è uno sbianchettatore. Quella lettera (in cui si parla di una telefonata anonima ricevuta dall'allora presidente della Commissione Antimafia contenente particolari sull'omicidio Pecorelli) di Violante al magistrato palermitano è cruciale perché viene spedita a Roma alla Procura siciliana proprio il giorno prima dell'interrogatorio di Buscetta nel quale si farà il nome di Andreotti. E più avanti il senatore a vita spiega: «Violante ha cercato di incastrarmi». L'ultima stilettata, anche piuttosto pesante, Andreotti la rivolge all'ex presidente dell'Antimafia quando ricorda che era tra le fila dei comunisti, quei comunisti che fecero di tutto, al limite dell'ostruzionismo, per non far passare le sue leggi dure contro la mafia. Andreotti chiarisce anche la circostanza della mancata convocazione alla Commissione antimafia: «Dopo che ebbi espresso al vicepresidente Cabras la mia preferenza a essere ascoltato alla fine dei lavori, non sono stato mai chiamato. Apprendo ieri che avrei dovuto chiederlo. Come? In carta semplice o bollata?» si domanda ironicamente. Ricorda poi che il pentito Buscetta precisò che le accuse ad Andreotti «erano sue deduzioni» e critica l'uso disinvolto dei pentiti («certe volte mi sono chiesto se c'è la libertà internazionale di calunnia»), ricordando che lo stesso Giovanni Falcone «espresse dubbi» sui collaboratori di giustizia. Compatto, durante il dibattito, il centrodestra. Renato Schifani (Fi) insiste sul «disegno politico tentato per via giudiziaria», mentre Domenico Nania (An) ribadisce che la Prima repubblica non è caduta per i giudici, anche se «c'è stato un uso politico della giustizia da parte delle cosiddette toghe rosse». Francesco D'Onofrio chiede ai diessini «una critica profonda e severa sul giustizialismo». Gavino Angius (Ds) sparisce dall'aula per un lungo tempo, poi torna e difende il compagno di partito Violante dal «linciaggio» e sottolinea che «il compito della politica non è quello di condannare la magistratura dopo una sentenza della Cassazione». «Ma - chiosa Ottaviano Del Turco (Sdi)- se questa sentenza di assoluzione crea un problema a qualcuno, questo qualcuno sappia che lui è il problema».

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