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Giulio sembrava un antico romano

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Di lui si è parlato più dello stesso Leonardo da Vinci il quale, secondo un'indagine dell'«Eredità» televisiva di Amadeus, è il più grande fra tutti i grandi. Nell'aula di Palazzo Madama siede, pietrificato, come l'antico romano al quale il barbaro, iconoclasta, tira la barba per scuoterlo dalla sua impenetrabile sicurezza interiore, con le labbra sempre più sottili, le palpebre sempre più socchiuse. Grande è il suo equilibrio. Osservando Andreotti quando guarda il mondo che lo circonda, si arguisce che per capire bene le cose non bisogna spalancare gli occhi, ma piuttosto lasciar passare lo sguardo indagatore attraverso una stretta fessura. Tutti sanno che sono tre i volti pubblici del Presidente: l'uomo politico, il giornalista, lo scrittore. S'impone subito un interrogativo. Prima che questi tre diversi aspetti si fondessero in un'unica entità, offrendoci la figura di una personalità di rilevanza internazionale, quale delle tre passioni si è rilevata in anticipo sulle altre? Si può azzardare una risposta dicendo che Andreotti è stato anzitutto un giornalista-politico, ma che ben presto divenne un politico-giornalista. A Roma, durante l'occupazione nazista, egli lavorava all'edizione clandestina del «Popolo», ma già si occupava di politica in veste di presidente nazionale della Federazioni universitaria cattolica. Era impegnato nella salvezza degli innumerevoli e infelici perseguitati dai nazisti o perché ebrei o perché antifascisti. Ed era perciò segretamente in contatto con il Vaticano che svolgeva in proposito una vasta azione caritativa. Andreotti disponeva di un salvacondotto che ne faceva una «guardia palatina». Proprio nelle file di questa organizzazione avevano trovato rifugio molti fra i perseguitati. Lo scrittore di storia. Ci sono vari modi di esserlo. O le grandi sintesi o la rivisitazione di momenti particolari. Andreotti ha inizialmente scelto questa seconda forma. Tuttavia più in lui si precisavano i lineamenti dell'uomo politico, più il suo lavoro di scrittore assumeva nuove caratteristiche. Andreotti, uomo politico di primo piano, avvertiva l'esigenza di scrivere sugli eventi politici di cui egli era stato o il testimone privilegiato o il protagonista d'eccezionale rilievo. Scrive libri, e sa fare dell'altro. Non rimarrà mai disoccupato. E questo gli conferisce la tranquillità di fondo da cui deriva la sua sovrana ironia. Il suo segreto di scrittore e insieme di uomo politico è la misura. Sublime è il suo equilibrio. Egli ha tanta misura e tanto equilibrio da non vedere tutto nero o tutto bianco. Ma non per questo vede grigio. Un giorno a Ferentino con Andreotti si discuteva sullo schiaffo a Bonifacio VIII, e ognuno, maliziosamente, correva col pensiero al bacio di Riina, se c'era stato o no. E su quel bacio ora sappiamo, e finalmente, che era tutta una penosa invenzione.

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