Violante si difende ma non convince
Luciano Violante riapre in aula alla Camera il caso Andreotti. Chiede la parola «per fatto personale», il capogruppo dei Ds, per difendersi dagli attacchi dei giorni scorsi, quando è stato chiamato pesantemente in causa per il ruolo svolto dieci anni fa quando era presidente dell'Antimafia. «Nessuno - dice - suggerì alla magistratura di perseguire Giulio Andreotti. E non c'è nessun legame tra la relazione dell'Antimafia e i processi al senatore a vita». L'aula si surriscalda subito. La tensione tra i Poli diventa sempre più forte tra reazioni fragorose e gesti sdegnati quando l'esponente diessino respinge al mittente l'accusa di giustizialismo. Alcuni deputati dell'Udc e di Forza Italia escono dall'emiciclo. Qualcuno lo interrompe gridando «vergogna». E Casini è costretto ad intervenire, a usare la bacchetta: «chi non vuole sentire esca», dice agli esagitati rappresentanti della maggioranza. «Credo che sia un diritto di un parlamentare parlare in aula riportando le valutazioni che ritiene importanti». Violante comunque non si fa intimidire, non arretra di un passo, respinge con forza la tesi di aver alimentato il furore giustizialista che ha fatto collassare la Prima Repubblica per arrivare in modo improprio al potere. «Chi oggi rivede alla luce di un atto giudiziario scelte squisitamente politiche - osserva infatti - rischia di celebrare ancora una volta il rito suicida della subalternità della politica alla giustizia». Nessun mea culpa, nessun atto di contrizione e nemmeno una semplice autodifesa. Sconsigliato dagli alleati della Margherita, e da molti diessini, a prendere la parola su un tema così scabroso e gravido di possibili ulteriori divisioni nell'Ulivo Violante non molla. E contrattacca. «L'Italia e il suo mondo politico - dice - non sempre sono stati tutti dalla parte giusta: c'era chi stava con Sindona, il banchiere di Cosa Nostra, e chi con Ambrosoli, Baffi e Sarcinelli». Il capogruppo dei Ds a Montecitorio non difende chi buttò le monetine contro Craxi e non cambia il suo giudizio su Andreotti e risparmia nemmeno il presidente del Senato Pera, un tempo ipergiustizialista e oggi ipergarantista (quando era opinionista sui quotidiani «scrisse che i giudici non dovevano fermare la volontà popolare»). Non vuole l'ennesima Commissione d'inchiesta «da usare contro l'attuale opposizione», l'ex presidente della Camera. Piuttosto chiede al presidente Pier Ferdinando Casini di valutare il modo e i tempi per un «onesto dibattito sul modo per uscire dallo scontro». Il dibattito parte quasi subito. Ed è subito rissa. Agli oratori del centrodestra il modo in cui Violante si autoassolve non va proprio giù. Prende la parola per primo il leader dell'Udc Marco Follini, e rinnova le accuse: Violante è ancora un «giustizialista». Ma è racchiusa nelle durissime parole del coordinatore di Forza Italia Sandro Bondi l'offensiva della maggioranza contro l'opposizione, di cui Violante è uno dei rappresentanti di maggior rilievo. Spara a zero Bondi: «È lui il carnefice», «ha infettato la vita dei partiti e ha introdotto il virus del giustizialismo». Ulivo e Rifondazione respingono con decisione la campagna della maggioranza contro il capogruppo Ds. Durissimo, ancorchè misurato, il commento del presidente dei Ds Massimo D'Alema. «È stata una discussione bella, importante», esordisce. Castagnetti, capogruppo della Margherita, che in questi giorni non ha mai difeso Violante, ha detto che bisogna tornare «a discutere responsabilmente, ma il passato non va rimosso e neppure brandito come arma del presente». Sono del presidente della Camera le considerazioni finali del dibattito che, rispettando le previsioni, ha rilanciato lo scontro tra le forze politiche. Al di là del «rammarico per i toni», è soddisfatto perchè «il rapporto tra la politica e la giustizia è stato riportato nelle sedi proprie. Troppo spesso questi temi - sottolinea polemico - sono affrontati in sedi improprie, e mi riferisco alle aule giudiziarie». Poi chiude la seduta indirizzando un «