Tremano i calciatori, la «gamba tesa» è reato
La Suprema Corte: supera i limiti della lealtà sportiva. Condanna per lesioni colpose a un giocatore di Enna
La Cassazione ha infatti sancito la rilevanza penale del gioco pericoloso durante le partite di calcio, perchè questo tipo di fallo «supera i limiti della lealtà sportiva». Con tutte le conseguenze del caso: un intervento a valanga come quello di Marchegiani su Vieri, in Chievo-Inter di domenica scorsa, poteva costare ben più di una semplice espulsione al portiere dei veronesi, da una multa all'arresto, in caso di recidiva. E già si immaginano versioni aggiornate dei vari «Processi» in tv, con le toghe al posto delle moviole, e la dottrina a interrogarsi sul famoso «carrinho» di Falcao ai danni di Altobelli in un Inter-Roma del 1982: un caso caduto in prescrizione? E che dire della famigerata ginocchiata-killer di Martina sulla tempia di Antognoni? Con la prova televisiva oggi si rischierebbero non solo squalifiche, ma anche le manette. Fantagiustizia? Forse, e comunque si devono configurare gli estremi di «lesioni colpose», come quelle sancite nei confronti di Francesco C., non una star di serie A ma un modesto giocatore di Enna, che durante una partita aveva avuto la malaugurata idea di alzare un po' troppo lo scarpino contro il suo avversario Marco D.P., fratturandogli la mandibola. L'imputato era stato condannato a una sanzione di 300 euro, ed era ricorso ai giudici della Suprema Corte sostenendo che il suo comportamento rientrava nell'ambito dell'illecito sportivo, per via di un semplice «scontro fortuito avvenuto esclusivamente nel contrasto di un'azione di gioco al solo fine di impossessarsi del pallone». Con la sentenza n.39204 gli ermellini hanno respinto la sua tesi, inaugurando così, di fatto, una nuova stagione nell'interpretazione della violazione delle regole sportive. Finora, la Cassazione era stata sempre esplicita nel distinguere l'attività del giudice da quella dell'arbitro, ammettendo vari gradi di rischio assunti dall'atleta a seconda dello sport praticato, da quello a violenza eventuale (come il calcio) a quello di natura violenta (la boxe). E se la lesione involontaria viene originata da un comportamento che rientra nelle regole di quella disciplina, si resta nel territorio dell'illecito sportivo; altrimenti si parla di reato penale. Per esempio, nel 2001 la Suprema Corte confermò (sentenza 24942) la condanna a un giocatore dilettante di calcetto che, con un fallo di reazione, aveva procurato lesioni a un occhio ad un avversario, perchè «nessuna attenuante può essere concessa ad un comportamento che non si limiti ad essere rudemente agonistico ma trascenda nella violenza e nel disprezzo dell'altrui integrità». Decisiva, nella valutazione dei giudici, la constatazione che nelle regole del calcio a cinque non è previsto alcun contatto fisico tra gli antagonisti. Lo stesso accadde, un anno prima, quando la Cassazione ribadì la condanna a due mesi di reclusione, pronunciata dalla Corte d'Appello di Genova nei confronti di un giocatore di basket, che durante Lerici-Sarzana aveva frantumato con una gomitata la mascella del suo marcatore. Tutti a rischio, dunque, atleti professionisti e non, come dimostrò la sentenza 8740/2001 della Cassazione Civile: lì si parlava di una partita di...rubabandiera in parrocchia, tra bambini, e della risarcibilità di lesioni riportate da una ragazzina, travolta da un coetaneo che aveva «violato le regole del gioco».