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Segnali di apertura dalla Libia

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In questo 5+5 (cinque Paesi dell'Europa meridionale e cinque del nordafrica: Italia, Spagna, Francia, Portogallo, Malta, Marocco, Algeria, Tunisia, Libia e Mauritania) - secondo opinioni concordanti - la Libia ha mostrato una maggiore disponibilità al confronto. Un nuovo atteggiamento rispetto al problema del controllo dei flussi migratori già evidente nella composizione stessa della sua delegazione: la volta scorsa, a Tunisi, Tripoli aveva mandato una compagine di esperti ministeriali dal profilo relativamente basso. Qui a Rabat, a capo della missione è stato inviato Mohammed Mestrati, segretario della Commissione popolare generale della giustizia e della sicurezza (come dire il ministro dell'Interno e della Giustizia insieme) affiancato dal colonnello Youssef Ajridi, direttore dell'immigrazione. La Libia ha sottolineato di non poter controllare da sola i suoi 5 mila chilometri di frontiere sahariane, nè tantomeno i suoi 2 mila chilometri di coste («non ci riusciremmo nemmeno se mettessimo tutti e 5 i milioni di libici schierati», ha detto ieri Mestrati). Ha anche deplorato, ancora una volta, l'embargo dell'Europa, sostenendo che le impedisce di dotarsi di strumenti tecnologici per combattere l'immigrazione clandestina. Ha chiesto poi radar, elicotteri, binocoli. Ha ricordato come tra gli emigranti africani che passano dal suo territorio non ve ne sia uno, uno solo, nè clandestino nè irregolare di nazionalità libica. La Libia, con la quale l'Italia sta sviluppando un accordo bilaterale complessivo sull'immigrazione, preme perché Roma appoggi la richiesta per togliere l'embargo europeo e mette sul piatto della bilancia, più o meno velatamente, l'immigrazione clandestina. Intanto, la Commissione per l'emigrazione del Consiglio d'Europa, riunita a Limassol (Cipro), ha stabilito che chi ha bisogno di una protezione internazionale non deve essere privato del diritto di chiedere asilo solo perché è entrato o ha tentato di entrare clandestinamente.

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