È DI NUOVO SCONTRO GOVERNO-SINDACATI SULLE PENSIONI

A tornare alla carica per il governo è stato il vicepremier Fini. Dopo che nei giorni scorsi aveva definito un «atto politico» lo sciopero, ora - dice - che è espressione di un «dissenso politico». «Non c'è peggior sordo di chi non vuole sentire», è stata la pronta replica dei sindacati. Insomma, l'ennesima schermaglia che dimostra come sulle pensioni continuano a parlare lingue diametralmente opposte. Secondo il numero due di Palazzo Chigi, «proclamare scioperi, più o meno generali, per riforme che decorrono da qui a quattro-cinque anni, è esclusivamente una legittima, ma evidente espressione di dissenso politico». Ma Fini auspica anche che, dopo lo sciopero, «le parti siedano al tavolo per verificare con il governo come dar corso all'applicazione della riforma. Ovviamente - precisa - nell'ambito di quella che è la cornice finanziaria della riforma perché quella è immodificabile». «La risposta Fini se la dà da solo - ribatte il segretario confederale della Cgil, Marigia Maulucci - quando dice che i margini di trattativa sono quelli decisi unilateralmente e in modo ingiustificato dal governo. Per Fini l'unica possibilità per il sindacato sarebbe quello di applicare la riforma che altri fanno. Il nostro sciopero - prosegue ancora la sindacalista - non è politico, lo è piuttosto il nervosismo di Fini nel commentarlo». «Lo sciopero non è politico e Fini lo sa bene», replica il segretario confederale della Cisl, Raffaele Bonanni, che aggiunge: «La gestione della partita della riforma è squisitamente politica tant'è che parte della maggioranza ha subito un diktat da parte dell'altra. Questa gestione - insiste Bonanni - ha prevalso sulla consuetudine e sulla parola data del Patto di Luglio, secondo la quale si sarebbe proseguito con la concertazione. Poiché la riforma è uno degli aspetti più delicati della vita sociale del Paese e per i lavoratori, il fatto che il governo ha fatto prevalere le sue esigenze politiche dimostra esattamente il contrario di ciò che afferma Fini. Di questo, il governo dovrà rendere conto». «Evidentemente il vicepremier proprio non riesce a capire le ragioni dello sciopero - sostiene il numero due della Uil, Adriano Musi -: non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire».