Verso un'altra settimana di scontri nella maggioranza Il premier media e tratta. Ma non lo farà all'infinito
Tenaglia An-Udc su Berlusconi
Basta guardare solo agli ultimi dieci giorni. Venerdì 3 ottobre An e Udc spingono con successo per chiudere l'accordo sulle pensioni. Sabato 4 parlano di rimpasto. Domenica 5 Volontè (Udc) chiede la gradualità per la riforma della previdenza e subito Alemanno (An) lo spalleggia. Lunedì 6 Fini difende l'accordo sulle pensioni dall'assalto dei sindacati, Buttiglione e Giovanardi frenano sulle modifiche all'intesa. Martedì 7 Fini chiede di aprire una discussione sul voto agli immigrati, dopo un'ora Follini fa sapere che approva. E mercoledì 8 arrivano gli applausi di Buttiglione, giovedì 9 An annuncia la proposta di legge e l'Udc dice che la sosterrà. Venerdì 10 è la giornata per un annuncio (quasi congiunto via della Scrofa-via due Macelli) di modifiche alla Finanziaria, sabato 11 chiosa Follini: «Niente crisi ma serve una cura» e La Russa che, gli siede accanto sul palco di Capri al convegno dei giovani industriali, annuisce. È stata una settimana sulle barricate per ex democristiani ed ex missini. E anche quella che inizia sarà all'insegna della morsa a Berlusconi. L'intesa An-Udc infatti va a gonfie vele e si prepara a dare l'assalto finale alla coppia Tremonti-Bossi, al duo nordista del governo. Berlusconi media e le sue lusinghe finora non hanno sortito grandi effetti. Perché la coppia An-Udc ha radici profonde che risalgono a quasi cinquant'anni fa: quando sono nati Fini (nel 1952) e Casini (nel 1955) nella stessa città Bologna. Prosegue trent'anni dopo quando (nel 1983) entrambi diventano deputati per la prima volta. I due sono legati da una profonda amicizia (rarità in politica). Sono assieme nel fondare il Polo, vanno al governo nel '94, tornano all'opposizione, restano con Berlusconi per tutta la traversata del deserto. Casini diventa presidente della Camera e si defila, Follini eredita il rapporto e si trova in sintonia con il vicepremier su tutto. An e Udc sono sulla stessa linea nelle questioni sociali, come le politiche per la famiglia, le pensioni, l'immigrazione, il Mezzogiorno. Nascono anche sub-assi, come quello tra i due ministri Alemanno e Buttiglione che creano assieme anche una fondazione (Laboratorio Italia) che deve andare oltre i due partiti, instaurando rapporti con il mondo dell'Università (con D'Ascienzo, rettore della Sapienza), dell'Economia (con l'aiuto di Enrico Cisnetto e Paolo Savona), del sindacato (con Savino Pezzotta). Dietro le quinte il governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio segue con attenzione. L'asse tiene anche perché ha due elettorati non contigui, insomma è ben difficile che Casini e Follini possano rubare voti a Fini e viceversa. E si vede: se il leader di An resta in silenzio per un paio di giorni, ci pensa Follini a bombardare Bossi & C. Anche ieri, il messaggio del segretario dell'Udc è chiaro: il bipolarismo si consolida rafforzando lo spirito di coalizione; ma la coalizione di centrodestra non diventerà mai stabile se continueranno ad esserci rapporti privilegiati basati sull'invocazione di spadoni e minacce di elezioni, su Carlo Magno-Berlusconi (come aveva detto il numero uno della Lega sabato sera), e sul sospetto che gli alleati siano «baroni ribelli». Alemanno risponde tornando a chiedere gradualità per l'avvio della riforma delle pensioni (facendo infuriare la Lega). E Follini insiste: «Non esistono spadoni da sguainare, non esiste Carlo Magno né baroni ribelli: siamo nel 2003 e non nell'800. Il teatrino - aggiunge tra gli applausi dei suoi al congresso dei giovani Udc - se veste i costumi d'epoca non è migliore di quello che veste i costumi di oggi; sarebbe meglio metterlo da parte». E aggiunge, rispondendo a Sandro Bondi (Forza Italia): «Io ho un forte senso della coalizione ma mi ribello quando qualcuno evoca le elezioni anticipate». Altro affondo il segretario degli ex dc lo riserva per respingere «con sdegno» l'accusa al suo partito di essere «ribelle»: «Eventualmente - dice - potrei accettare quella che qualche volta siamo stati troppo arrendevoli». Ultima battu