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La contribuzione necessaria per andare a riposo passerebbe da 35 a 36 anni già dopo il 2005 Leghisti e Rifondazione sono contrari

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E anche all'interno del centrosinistra, come ha confermato ieri da Capri il leader dei Ds, Piero Fassino, si valuta attentamente questo aspetto. Ma Lega da una parte e Rifondazione dall'altra esprimono forti malumori su questa reciproca apertura mentre i sindacati vanno dritti verso lo sciopero generale del prossimo 25 ottobre. Il tema è però al centro del confronto: ad esempio, si ipotizza di anticipare gli effetti della riforma rispetto alla data del 2008 indicata dal Governo. Questo non riguarderebbe il bonus per rimanere al lavoro (il 32,7%) che arriverebbe nelle buste paga già dal 2004, ammesso si faccia in tempo ad approvare la delega ora all'esame della Commissione Lavoro del Senato. Ma dal 2006 scatterebbe un primo aumento della contribuzione da 35 a 36 anni. Nel 2007 si passerebbe a 37 anni e così via negli anni successivi fino ad arrivare a 40 anni di contribuzione ma solo nel 2011. In tal modo, quasi a parità di risparmio, si eviterebbe l'effetto scalino tra chi va in pensione tranquillamente nel 2007 oppure sceglie di rimanere con il bonus e chi invece ci dovrebbe andare nel 2008 con la prospettiva di restare altri 5 anni oppure vedersi lo stipendio decurtato. Insomma si ragiona su una maggior gradualità che, a patto tenga fermo l'obiettivo di risparmiare un punto di Pil, trova anche il consenso del ministro Alemanno: «Se è così non ci sono problemi, anzi è opportuno. Il paletto oggi è dato da una sostenibilità finanziaria, una riduzione dell'1% del Pil come effetto complessivo della riforma, se ci sono altre proposte in questo ambito non solo non ci sono problemi, ma anzi è auspicabile». E proprio ieri da Capri il leader dei Ds, Piero Fassino, aveva annunciato la disponibilità a valutare una proposta di modifica che andasse verso una maggior gradualità della riforma: «Sarebbe una misura da prendere eventualmente in considerazione - spiegava Fassino - ed anche da valutare». Alemanno sottolinea che «l'emendamento Maroni, così come è stato approvato dal Consiglio dei Ministri, ha già al proprio interno una propria gradualità per recepire le proposte delle parti sociali nell'ambito della stessa sostenibilità finanziaria». È infatti previsto un periodo di 18 mesi, dopo l'approvazione della delega, per recepire eventuali modifiche in arrivo dalle parti sociali. Quindi se un'eventuale proposta è «nell'ambito di quella sostenibilità finanziaria non c'è nessun problema. Se invece si chiede di avere un impatto finanziario minore allora ci vuole un altro tipo di compatibilità, molto più ampio, che non riguarda solo le pensioni». I centristi intanto lanciano un appello al centrosinistra. Marco Follini invita a non assumere una posizione «oltranzista» sulle pensioni e a non smentire Prodi, che già nel 1994 firmò un documento dell'economista Modigliani che sottolineava la necessità di una revisione del sistema previdenziale. Ma il presidente dei Verdi, Alfonso Pecoraro Scanio, afferma: «Nessuna ciambella di salvataggio al governo né prima né dopo lo sciopero generale». Mentre l'apertura di Alemanno viene bocciata a strettissimo giro di posta dalla Lega: il capogruppo in commissione Lavoro del Senato Antonio Vanzo afferma ironicamente che Alemanno ormai è diventato il portavoce dei Ds e dei sindacati. Da sinistra Paolo Ferrero, della segreteria di Rifondazione comunista afferma: «Le aperture di credito al governo da parte di Ds e Margherita sulle pensioni, sono sbagliate e gravi».

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