Previdenza, braccio di ferro nel governo
Dopo il giallo dell'altra notte, con l'ipotesi prima ventilata e poi smentita di portare a regime la riforma solo nel 2016, ieri la questione è stata al centro di una lunga e nervosa riunione alla Camera, con il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, a fronteggiare gli assalti di Roberto Maroni e Gianfranco Fini, che puntano comunque su una «scalettatura» per l'innalzamento da 35 a 40 anni dei contributi. La data secca del 2008 crea una super scalino che divide con troppa decisioni fasce di lavoratori dal percorso lavorativo simile. A ragioni di equità si sono contrapposti motivi di cassa e Giulio Tremonti ha avuto buon gioco a far valere il no di Confindustria e le perplessità europee su un ammorbidimento eccessivo della riforma. La questione finirà comunque stamattina al Consiglio dei ministri, preceduto da un vertice di maggioranza. Altro nodo della giornata è l'esclusione dei lavoratori pubblici dagli incentivi per restare al lavoro una volta raggiunti i requisiti di anzianità. Ieri si è mosso anche il ministro della Funzione pubblica, Luigi Mazzella, secondo cui «la partita non va considerata chiusa e ci sono margini per salvaguardare principi di uguaglianza». Su questo punto i sindacati sono pronti ad andare anche di fronte al giudice, proclamando l'incostituzionalità della decisione. Una possibilità condivisa dallo stesso ministro e da settori della maggioranza come An, assai preoccupati di perdere consensi tra il pubblico impiego. Nel vertice a Montecitorio poi si sono limati gli ultimi aspetti per materie, come la certificazione dei diritti, gli incentivi, le misure per i lavori usuranti, le norme sulle lavoratrici madri e sui lavoratori che assistono disabili. I sindacati ribadiscono la loro contrarietà. Per Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil, la scelta della mobilitazione è obbligata.