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Fazio: «Non è una riforma delle pensioni»

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Il governatore della Banca d'Italia vede due ministri: «Un segnale forte o mi farò sentire in Parlamento»

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Anzi, per dirla tutta, non si può neanche definire una riforma». Non usa mezze parole il governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, e poco dopo l'ora di pranzo sbotta nel chiuso delle sue stanze. Per la prima volta parte lancia in resta e spara bordate sull'intervento sulla previdenza che sta per ricevere l'ok. Anzi, lascia intendere che «se non ci sarà un segnale forte e chiaro» per una riforma incisiva, la sua protesta è da considerarsi solo all'inizio. Il numero uno di via Nazionale fa anche sapere che se la situazione non muterà, se cioè l'esecutivo resterà schiavo dei dicktat della Lega che vuole un'azione leggera sulle pensioni, la sua voce si alzerà, e anche molto, a ottobre. L'occasione sarà l'audizione al Senato proprio sulla Finanziaria. I due esponenti dell'esecutivo che ascoltano la ramanzina (ma Fazio ha incontrato in questi giorni anche altri esponenti del gabinetto Berlusconi in un vero e proprio giro di consultazioni), Gianni Alemanno e Mario Baldassarri (entrambi di An), assicurano che la loro azione sarà decisa. Anche perché nelle fila della destra si fa largo l'opinione che effettivamente l'intervento, così come studiato, non sarà molto efficace e toccherà solo su una limitata quota di pensionandi. «Non ne vale la pena», dicono negli ambienti di An. Ma la situazione nella Casa delle Libertà appare tutt'altro che serena. Berlusconi si preoccupa per ora di assicurare soprattutto Lega e sindacati: «Non possiamo non toccare le pensioni perché l'Europa ce lo chiede». E aggiunge: «Non possiamo toccarle al di là di quello che stiamo immaginando di fare perché avremmo una caduta della pace sociale». Poi spiega di non temere un declassamento del rating da parte di Standard and Poor's «se faremo la riforma strutturale delle pensioni». Ma la Lega resta in allerta. Il ministro Maroni conferma che Finanziaria e riforma resteranno due terreni distinti. Ma il capogruppo del Carroccio alla Camera Alessandro Cè avverte: «L'accordo raggiunto nella maggioranza va rispettato e se si decide di intervenire lo si dovrà fare solo dopo il 2008». L'altro tema caldo è quello del condono edilizio, tanto caro proprio al partito di Fini che non lo vuole troppo «largo». Le due questioni si legano. Il ministro dell'Ambiente Altero Matteoli ribadisce il no agli scempi e benedice la versione «ridotta»: «Siamo sulla buona strada e a noi non va bene un condono che vuole sanare tutto». Si spinge oltre il viceministro alle Infrastrutture, Ugo Martinat: An - dice - è «contraria ai grandi abusi». E ipotizza un gettito di soli due miliardi di euro (contro i tre previsti da Tremonti). Anche l'Udc chiede coerenza nelle scelte. E il ministro Rocco Buttiglione sottolinea che il suo partito terrà ferme le richieste avanzate e frutto di accordo con il ministro Tremonti.

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