«Gli italiani erano gli unici che volevano Telekom Serbia»
«Ho ricevuto una gentile lettera da parte della Corte municipale di Belgrado e ho accettato con piacere di testimoniare - ha detto Vucic -, ma non so se sarò interrogata dalla commissione di indagine italiana, o se si limiteranno ad ascoltare la mia deposizione. Ad ogni modo, sono disponibile perchè non ho nulla da nascondere». «In realtà non capisco perchè Beogradska sia stata interpellata - ha aggiunto - dato che noi non siamo stati coinvolti nel processo di privatizzazione o nei negoziati. Siamo entrati nella vicenda dopo la firma dell'accordo, perchè il beneficiario della somma pagata, il Fondo di sviluppo serbo, ha scelto la nostra banca per depositarne la maggior parte. Abbiamo tenuto per conto del Fondo 1,2 miliardi di dollari, in dinari. La valuta pregiata è andata alla Banca centrale jugoslava, che ha versato il corrispettivo in dinari, al cambio ufficiale.Circa 300 milioni di dollari sono andati direttamente alla Banca centrale, per le riserve valutarie». La maggior parte dei soldi depositati presso Beogradska, ha aggiunto Vucic, «sono stati utilizzati per il fondo pensioni. Parte sono andati alla sanità, parte investiti nella produzione, parte per il mantenimento e l'ampliamento delle infrartutture stradali». Di tutto ciò, prosegue Vucic, «esiste una precisa e vastissima documentazione, come una precisa e vasta documentazione esiste sull'operato delle filiali di Beogradska a Cipro o a Londra». Quanto al Fondo di sviluppo, «era gestito da un consiglio di amministrazione che faceva capo all'allora premier Mirko Marianovic». Vucic, in pensione dal 1998 dopo 40 anni nel settore bancario e 30 alla Beogradska, respinge con fermezza le accuse di alcuni giornali serbi di aver 'ripulitò nelle sue filiali estere soldi per conto di Slobodan Milosevic: «Era il mio presidente, l'ho apprezzato, quel governo ha dato impulso all'economia. Ma non ho mai avuto a che fare con fondi neri. La tanto citata filiale cipriota di Beogradska ha passato l'esame di ben due ispezioni congiunte jugoslave e cipriote, e comunque i documenti sono tutti lì, a disposizione». All'epoca dell'affare Telekom Serbia, ricorda Vucic, «le aziende italiane e greche non erano le uniche interessate a investire in Jugoslavia. Ricordo prima della privatizzazione di Telekom quella della Coca-cola, e società tedesche e austriache avevano contatti con le nostre imprese. Il loro approccio era comunque molto cauto, a causa delle sanzioni. Ma credo che a livello internazionale sia stato dato semaforo verde a Telecom Italia e a Ote, altrimenti l'affare non sarebbe stato concluso».