Riforme, prime schermaglie sul Senato

Non appena si è materializzata sulle pagine dei giornali, la proposta del governo ha fatto scattare l'allarme. Per ora solo l'opposizione criticare la scelta, ma anche nella maggioranza non mancano le perplessità. I senatori, infatti, sono chiamati a ratificare l'atto di morte del Senato così come è stato negli ultimi cinquant'anni: al suo posto verrebbe una Camera federale, eletta con la proporzionale, più piccola di quella attuale (200 senatori invece di 315, ma solo a partire dal 2011), e con il compito di approvare le leggi quadro nelle materie che la Costituzione affida alla gestione delle Regioni. Anche i fautori del federalismo trovano da ridire sul ruolo del nuovo Senato. Il costituzionalista di area diessina Augusto Berbera, ha pronosticato che le due Camere «se ne andranno ciascuna per proprio conto», con conseguenti problemi per la stabilità. I suoi timori sono condivisi dal capogruppo della Margherita a Palazzo Madama, Willer Bordon, convinto che delle riforme «non se ne farà nulla». Il capogruppo diessino Angius non lesina critiche: «Se mi rifaccio alle anticipazioni, non ci siamo. Non mi convince il modello proposto». Angius è favorevole in linea di principio al Senato federale, ma la Cdl, avverte, dovrà specificare meglio la proposta. «La verità è che l'opposizione avrà serie difficoltà a votare no al senato federale», prevede Francesco D'Onofrio, uno dei quattro «saggi» che hanno steso la prima bozza delle riforme. «Siamo stati attenti a fare un lavoro di sintesi tra le proposte di tutte le forze politiche, e non vedo come l'Ulivo potrà rinnegare cose sulle quali si è sempre detto d'accordo». «Mi auguro che le opposizioni questa volta dimostrino senso di responsabilità», sottolinea il capogruppo di FI Schifani, che conferma la più ampia disponibilità al dialogo: il testo sul Senato federale «non sarà blindato». Si profila comunque una corsa contro il tempo, con un alto rischio di ingorgo, visto che da ottobre il Senato avrà all'esame anche la finanziaria.