Due ore e una lunga pipì ma Igor non riesce a registrare
Quanto dura una audio-cassetta da sessanta minuti a lato. In mezzo una scappata al bagno. Ma non abbastanza per incastrare l'avvocato Paoletti. Nel racconto fiume di Igor Marini, il testimone dell'inchiesta della Procura di Torino (condotta dal procuratore Marcello Maddalena, nella foto), c'è anche lo spazio per un racconto che fa sorridere. Che cosa è successo? Marini si spaventa e va dai carabinieri nel marzo del 2002. Chiede di collaborare, comincia a raccontare. Racconta, racconta. I bonifici, il riciclaggio di denaro, i soldi che arrivano dalla Svizzera. I militari dell'Arma decidono che è arrivato il momento di verificare. E così organizzano un sistema da film ma che funziona sempre. Anzi, è il sistema più classico, quello del microfono sotto la giacca collegato ad un registratore in tasca. Dentro una cassetta bella lunga, ce n'è di roba da registrare. E spediscono Marini da Paoletti. Marini ha il compito di far parlare l'avvocato romano, fargli raccontare dei conti correnti esteri, del riciclaggio, dei titoli. Loro, i militari, si appostano in una camionetta davanti al giardino dell'ufficio romano che si trova nella zona dell'Aventino. Il terribile Igor va, sale da Paoletti; si mettono a parlare di tutto. Ma non arrivano a quella che in gergo si chiama la «polpa». Insomma, alla sostanza delle cose. Passa tutta la prima ora e Marini non riesce a far dire nulla di nulla a Paoletti. Niente. Finisce il nastro, almeno il primo lato. Il supertestimone inventa la scusa più ovvia e scontata: «Mi scappa la pipì, vado un attimo in bagno». L'avvocato romano non ha nulla da temere: in fin dei conti, ancora in quel momento, Marini lavora con lui. Non sospetta di nulla, non dubita, non ha motivo di temere per un innocuo bisognino fisiologico. Anzi, quando l'accusatore di Cicogna, Mortadella e Ranocchio torna nella stanza, il suo datore di lavoro si rallegra: «Meno male che sei tornato, adesso possiamo lavorare». E si va avanti così. Probabilmente Marini sente che il tempo passa, scorrono i minuti e il nastro va avanti. Sa che non ha ancora molto da registrare, il secondo lato della cassetta è di un'altra ora. Il supertestimone sa che i carabinieri sono con lui, che quella è come una partita di calcio: il pareggio è come la sconfitta, deve segnare e siamo già al secondo tempo, tutto il primo è filato via a reti inviolate. Sa Igor che non c'è molto tempo, l'occasione è unica: ora o mai più. Deve far dire al suo interlocutore che quel titolo da 55 milioni di dollari esce dalla Serbia, va in Indonesia in una banca di Giakarta, viene ripulito e torna in Italia per essere distribuito ai politici sotto forma di tangente. È facile, deve far dire che quei 32 milioni di dollari fanno lo stesso giro, ne devono tornare otto. Sono cose di cui Marini e l'altro, stando sempre ai racconti del superteste, ne hanno parlato decine di volte. Parlato, discusso, ribadito. Deve solo fargliele ripetere. Oramai è passata un'altra abbondante mezz'ora, resta poco più di venti minuti. Il tempo scorre, Marini lo sa. Comincia a sudare, diventa teso. Cerca di mettere per l'ennesima volta in mezzo l'argomento, ma l'altro non abbocca. Poi arriva la svolta. Ecco. Paoletti comincia a parlare degli otto milioni di dollari. È fatta, Marini lo sa: bisogna farlo parlare. E Paoletti va, praticamente è un calcio di rigore, Igor sta per batterlo, mette la palla sul dischetto, prende la rincorsa e... tac. La cassetta finisce, l'arbitro ha fischiato la fine. Finito il nastro, non c'è più nastro da registrare. Niente, nessuna prova (se mai ce n'è stata una). Niente di niente. Anche i pm di Torino hanno qualche dubbio: «Ma come è possibile, in due ore non è riuscito a registrare nulla???». Marini è di ghiaccio: «È finita la cassetta». F. D. O.