Pretese di Bossi e nazionalisti inerti
Missini, monarchici e liberali si oppongono, con solitaria tenacia ma dovizia di argomenti, al regionalismo che, inizialmente so-stenuto da alcuni settori democristiani (don Sturzo, per esempio) e osteggiato da Togliatti, è stato inserito nella Costituzione, ma disapplicato. A seguito delle pressioni dei socialisti, le Regioni a statuto ordinario sono attuate nel '70, sempre con la dura opposizione (compreso l'ostruzionismo parlamentare) dei tre ricordati movimenti. Terzo millennio. I timori espressi dagli antiregionalisti si sono puntualmente tradotti in realtà, dimostrando anzi di essere stati di gran lunga peggiori rispetto agli sconquassi paventati. Sul piano politico (oltre alle Regioni cosiddette rosse, pure gran parte di quelle reputate bianche son finite in mano al Pci prima, al Pds e ai Ds poi); sul piano dei costi (moltiplicazione delle spese senza alcun risparmio); sul piano istituzionale (decuplicamento delle fonti normative, con l'assurdo che un albergo a tre stelle in Lucania è classificabile a due in Calabria o a quattro in Umbria, mentre lo spostamento di un muro interno all'abitazione è disciplinato in un modo in Toscana e in altro in Sicilia, paga in Emilia ed è gra-tuito in Lombardia): tutto è andato a rotoli. Il regionalismo ci è costato ben più di quanto i più duri avversari delle regioni temessero. E questo, senza considerare gli aspetti civili, perché divisione interna, lacerazione Nord-Sud, razzismo intestino, sono un portato successivo al regionalismo, essendone debitori gli italiani alla Lega, che ha messo in luce deteriori sentimenti che prima languivano, propugnando il federalismo. Ecco: il federalismo. Oggi il regionalismo ha assunto questo nome. Peggiorativo perfino nella moltiplicazione dei centri di potere, perché sovente è provincialismo, municipalismo, esaltazione del rione, del quartiere, del dialetto, del tribalismo, in un rigurgito di medievalismo. Quel che ci costerà in tasse e balzelli ancora non lo sappiamo di preciso, però intanto ne godiamo cospicui acconti: Ici, addizionale regionale Irpef, addizionale comunale Irpef, tributo ecologico provinciale, tariffa rifiuti ecc. ecc., mentre i contributi (in pro dei Consorzi di bonifica) e i diritti (a favore delle Camere di commercio) sono testimonianza della molteplicità delle fonti impositive decentrate, autonome, federalistiche. Bene, in questa situazione c'è da chiedersi che cosa facciano gli eredi dei movimenti antiregionalisti. Invece di sostenere con ancor più trasporto le esatte tesi di allora, o stanno zitti o addirittura si fanno assertori del federalismo. Lasciamo stare gli ex monarchici, ormai dispersi ovunque. Ma i liberali presenti nella Cdl, segnatamente in FI, a partire da Costa e Biondi, organizzati in corrente? E soprattutto gli ex missini, che dispongono oggi di un partito che è il secondo, per seguito elettorale, nella coalizione di centrodestra? Si dirà che la Lega pretende. Sia pure. È mai possibile che ci sia tanta acquiescenza? Tutti gli alleati della Lega sono così supinamente d'accordo sullo spappolamento dell'unità politica, istituzionale e civile dello Stato? Purtroppo, pochissime voci si levano a denunciare l'incredibile cedimento morale prima ancora che politico: Fisichella in An, Sterpa in Fi. Fa davvero specie che nel partito di destra - che non manca mai di rivendicare la propria originalità, la propria storia differenziata, certi valori da altri pretermessi - non ci siano una corale reazione, un rigurgito di dignità politica, una ripresa d'iniziativa che vada ben oltre la semplice dizione dell'"interesse nazionale" da difendersi in un "Senato federale". Senato federale in Italia: ma è mai pensabile che un partito di destra, "nazionale" anche nella denominazione ufficiale, debba tollera-re una simile assurdità, e anzi collabori a predisporla istituzionalmente? Quest'Alleanza pare poco o punto nazionale, oggi.