I socialdemocratici abbandonano il concetto di «giustizia sociale»
In un'intervista al settimanale Stern, il segretario della Spd, Olaf Scholz, getta infatti a mare come zavorra inservibile anche lo stesso concetto di «socialismo democratico», che dalla svolta di Bad Godesberg nel 1953 ha sempre costituito l'anima del suo partito. «Io ritengo - dichiara Scholz - che questo concetto significhi ben poco in futuro» e, come se ancora non bastasse, rincara la dose con un'affermazione destinata a far rivoltare nella tomba i fondatori del socialismo tedesco e a far montare sulle barricate la pattuglia sempre meno folta degli agguerriti sindacalisti del suo paese, che costituiscono da sempre la spina dorsale della Spd e che rappresentano il 74% dei suoi 251 deputati che siedono nel Bundestag. Insomma, da oggi in poi Schroeder e compagni parleranno solo di giustizia in senso lato, tralasciando l'amato aggettivo di «sociale», perché secondo Scholz questa definizione «è più chiara e noi abbiamo bisogno di un concetto più ampio del termine di giustizia». I socialdemocratici tedeschi si apprestano adesso a lasciar cadere l'ultima foglia di fico, nella speranza di riuscire a rimontare la china dei sondaggi e a riconquistare quei ceti medi che ormai gli hanno voltato le spalle. E per strizzare ancora di più l'occhio alle classi benestanti il segretario della Spd rompe un altro tabù, secondo il quale sarebbero i ceti più bassi a pagare più tasse e a ricevere in cambio meno prestazioni, mentre le classi più abbienti la farebbero sempre in barba al fisco, godendosi in santa pace i lauti redditi accumulati. Niente di più sbagliato, fa sapere Scholz, poiché «in Germania c'è stata una ridistribuzione gigantesca dall'alto verso il basso» e a sostegno della sua affermazione porta un dato finora lasciato in ombra da tutti i suoi compagni di partito. «Il 10% dei contribuenti con i redditi massimi contribuiscono con le loro tasse alla metà degli introiti incamerati dal fisco tedesco», rivela il segretario della Spd, che spunta così un'altra arma nelle mani di chi retoricamente continua ad agitare l'immagine di un'élite economico-finanziaria che continuerebbe a vivere alle spalle dei ceti meno abbienti.