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Soltanto lo 0,6% degli occupati ha un lavoro interinale

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A sei anni dal suo esordio, il bilancio del ricorso all'interinale delude le aspettative. Sette lavoratori su dieci vengono, infatti, «affittati» per una sola «missione» (così sono definite le chiamate da parte delle imprese) e un terzo di tutti gli interinali lavora addirittura per un periodo inferiore a un mese. Non sorprende, dunque, che il numero dei lavoratori temporanei in Italia raggiunga appena lo 0,6% del totale degli occupati, contro una media europea dell'1,5%. Dopo il boom dei primi anni (551 mila contratti temporanei attivi nel 2000 e ben il 151% in più rispetto al 1999) i numeri dimostrano che il settore ha tirato il freno a mano, ma resta alta (30%) la percentuale dei lavoratori che, dopo un impiego temporaneo, trovano un posto fisso. Si conferma quindi per il nostro Paese la tendenza a utilizzare il lavoro in affitto, più che come una forma di flessibilità come una vera e propria chiave di accesso al mercato del lavoro. È quanto emerge da uno studio realizzato dal Censis per Italia Lavoro, l'agenzia tecnica del ministero del Welfare per le politiche attive del lavoro. Per i 140 mila lavoratori interinali italiani, dunque, l'aspirazione rimane quella di trovare un posto di lavoro stabile. L'analisi non stupisce Natale Forlani, amministratore delegato di Italia Lavoro, che sottolinea come nel nostro Paese l'interinale sia «usato come un periodo di prova». Con l'approvazione della legge Biagi, però, le prospettive miglioreranno. «La percentuale dei lavoratori in affitto - assicura Forlani - potrebbe raggiungere il 4% del totale degli occupati». L'interinale sembra utilizzato, dunque, soprattutto come canale di reclutamento. Lo dimostra il fatto che la stragrande maggioranza (67,2%) dei lavoratori assoldati dalle agenzie nel 2002 è stata «chiamata» una sola volta dall'impresa utilizzatrice, in media per un periodo da 1 a 6 mesi (56,6% dei casi) o addirittura inferiore a trenta giorni (33,7%). La bassa incidenza dei lavoratori interinali è confermata dalla netta frenata del numero delle missioni. Un segno inequivocabile che si fa sempre meno ricorso a questa forma di impiego flessibile. Se, infatti, nel 2000 si è registrato un vero e proprio boom con 551mila contratti temporanei attivi, ben il 151% in più rispetto al 1999, negli anni successivi l'incremento si è andato riducendo in modo deciso. Nel 2001 il numero di «missioni» è salito a 624 mila, solo il 13,2% in più rispetto all'anno precedente, e nel 2002 l'aumento si è fermato appena al 6,9% (667 mila chiamate da parte delle aziende). Il contratto in affitto, quindi, sembrerebbe meno ambito rispetto ai primi anni della sua introduzione. Resta però evidente la funzione del lavoro temporaneo come chiave d'accesso al mercato del lavoro, specie per le fasce più giovani di lavoratori. A scegliere questa tipologia di impiego sono, infatti, soprattutto i giovani. Il 54,6%, infatti, ha meno di 30 anni (di questi, il 28,6% meno di 25 e il 26% tra 25 e 29), contro il 31% di trentenni, l'11% tra i 40 e i 49 e il 3% di ultracinquantenni. L'identikit del lavoratore interinale prevede un livello di istruzione medio. Il 44,7% ha un diploma di scuola media superiore e il 32,9% la licenza media. Il 14% ha fatto studi universitari: possiede una laurea il 12,1%, mentre l'1,9% si è fermato al diploma universitario. Infine, l'8,4% ha frequentato solo la scuola elementare o non ha nessun titolo. In generale, le donne sono più degli uomini, il 58,4% contro il 41,6%. Il settore in cui il lavoro temporaneo è più presente è quello meccanico, nel quale viene stipulato circa un terzo del totale dei contratti interinali (31,2%). Segue il manifatturiero, con il 10,9%.

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