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Sarà presentata al Senato, dove si recherà il ministro della Giustizia Castelli domani mattina

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Probabilmente domani mattina il ministro della Giustizia Roberto Castelli si recherà al Senato e spiegherà le ragioni che lo hanno portato a chiedere chiarimenti sulle richieste di rogatorie avanzate dai pubblici ministeri di Milano che indagano su Mediaset (in particolare su un presunto falso in bilancio nell'acquisto di film dagli Usa, indagato anche Berlusconi). È questa la soluzione alla quale sta lavorando la Casa delle Libertà. Stando alle indiscrezioni, il Guardasigilli spiegherà che il testo della legge del lodo Maccanico, se da un lato si esprimeva chiaramente per lo stop ai processi alle cinque massime cariche dello Stato (tra cui il presidente del Consiglio), dall'altro non vi era un esplicito riferimento alle indagini. Proprio questa «mancanza di chiarezza» lo avrebbe spinto a chiedere una interpretazione tecnica e, dunque, allo stop alle richieste che provenivano da Milano. Ma nella maggioranza non c'è ancora un accordo definitivo sulla mozione. E le diplomazie sono al lavoro. Ma la schiarita c'è e lo si evince dalle parole pronunciate in serata da Carlo Giovanardi (Udc): «Come ministro per i Rapporti con il Parlamento mi sembra opportuno esaltare il ruolo di questa istituzione e quindi far definire l'interpretazione politico-parlamentare del Lodo Maccanico proprio nella sede della sovranità popolare». «Mentre è legittimo - prosegue Giovanardi - che ci possano essere dubbi interpretativi sulla lettera della legge, la disponibilità del Guardasigilli di rimettersi alla volontà del Parlamento, che nei lavori preparatori è stato esplicito nel definire il Lodo non applicabile nelle fasi delle indagini preliminari, porta a risolvere nella maniera più autorevole e definitiva la questione». E più tardi il senatore Ronconi (sempre Udc) si spinge oltre e dichiara: gli «ultimatum» non fanno parte del nostro dna e Castelli ha già recepito la «serena fermezza» della richiesta venuta dai centristi. Dichiarazioni che arrivano al termine di una giornata calda, in cui all'interno della maggioranza non sono mancate polemiche. Per tutto il giorno i centristi sembravano decisi a tenere il punto. Spiegava il capogruppo alla Camera Luca Volontè: «Se prima della convocazione del Senato il ministro non sbloccherà le rogatorie, non credo ci possa essere un nostro voto di fiducia al ministro». Altrettanto fermo il suo collega al Senato Francesco D'Onofrio: «La questione è politica e non tecnica. Proporrò al mio partito di non votare la fiducia al ministro se non dopo il ripristino delle regole costituzionali». Domenico Nania (An) parlava invece di una vicenda sostanzialmente già risolta, lanciando anche un monito riguardo all'ultimatum degli alleati centristi: «L'agenda politica viene fissata dalla politica. Il problema è il merito». E la Lega faceva quadrato. Il braccio destro di Bossi, Roberto Calderoli, ribadiva che «una soluzione si troverà ma solo dopo un passaggio parlamentare cui tocca il compito di arbitro». Forza Italia, in mezzo, faceva da pompiere: il portavoce Sandro Bondi si diceva sicuro la vicenda «si chiarirà come tra gentiluomini». E Berlusconi? Dalla Sardegna ha tenuto i fili del dialogo con gli alleati: «Sono sicuro - avrebbe confidato ai suoi collaboratori - che la vicenda si risolverà presto e senza conseguenze politiche, l'unica cosa che mi fa infuriare è leggere che sono infuriato...».

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