«Vado via ma non dimentico Roma»
Il prefetto Emilio Del Mese è il nuovo responsabile del Cesis, il comitato esecutivo per i servizi di informazione e di sicurezza, nominato dal Consiglio dei Ministri. Lascia, dopo quasi due anni, il ruolo di prefetto capitolino. Al suo posto è stato scelto Achille Serra. Del Mese è soddisfatto della nomina e parla degli anni passati. Prefetto Del Mese, non la spaventa andare a coordinare gli 007 nostrani? «Ho passato quasi tutta la mia carriera nella Polizia di Stato, un po' già conosco l'ambiente. In più, l'attività di prefetto prevede già un attento coordinamento. L'importante è non confondere il coordinamento con il potere. Il Cesis è un comitato: sono felice e orgoglioso della scelta che ha fatto il governo. Avrò stretti contatti con il sottosegretario Letta e avrò la fortuna di stare accanto al generale Pollari e al prefetto Mori, due amici da tempo. Questo mi facilita il compito, anche se occorrerà impegno. Io ce la metterò tutta». Si aspettava già questa nomina o ne è rimasto sorpreso? «Lo avevo letto sulla stampa, poi è successo. In fin dei conti la nomina è stata inaspettata perché i giornalisti a volte danno notizie che non trovano corrispondenza nella realtà. Certo, quando ho letto che nella lista dei candidati più accreditati c'ero anche io sono stato contento e, sinceramente, speravo che scegliessero me perché è un posto molto importante». Nel corso del suo mandato ha anche pubblicato un romanzo, «La scatola del tempo». Pensa che nel suo nuovo incarico troverà spazio l'attività di scrittore? «Sono due attività complementari. Questo è un hobby molto importante: continuerò a scrivere e, altra mia passione, a occuparmi delle piante. Sono due compiti che mi danno la serenità necessaria per affrontare la vita professionale». Che cosa le mancherà del suo lavoro di prefetto della Capitale? «Soprattutto il contatto con i fatti e gli avvenimenti e il lavoro di squadra intenso portato avanti in questi due anni con il sindaco Veltroni, il presidente della Provincia, prima Moffa e poi Gasbarra, e il governatore della Regione Storace. Siamo riusciti a gestire grandi eventi della città eterna: la canonizzazione di Padre Pio, il vertice Nato, il primo corteo no global dopo Genova». Ricorda qualcosa che è andato storto? «La cosa più imbarazzante fu durante il vertice Fao, quando cambiammo improvvisamente gli itinerari e le strade chiuse. In quella circostanza chiesi personalmente scusa ai romani, che accettarono di buon grado». C'è qualcosa che non le mancherà della sua esperienza in prefettura? «No. Sono stati anni importanti e di grande attività e contatti umani. Ma nella mia vita ho cambiato 22 uffici, sono abituato ai trasferimenti, che hanno una funzione anche stimolante». Ha ricevuto degli insegnamenti particolari da quest'esperienza? «Ricoprire il ruolo di prefetto mi ha insegnato la necessità di avere un contatto diretto con i romani e con i responsabili dell'amministrazione, nell'ottica di una piena collaborazione. È stata un'esperienza che lascia il segno, avvenuta tra l'altro dopo l'attentato terroristico dell'11 settembre, che ha sconvolto il mondo intero. Eppure siamo riusciti a dare un'immagine serena della città che ospita il numero maggiore di ambasciate del mondo, tant'è vero che i turisti non hanno mai abbandonato la città eterna. Un'altra cosa importante è stato quell'inizio di integrazione, che a Roma è fondamentale. Abito vicino all'Esquilino e ho visto con i miei occhi i passi avanti nella convivenza. Siamo stati duri con gli irregolari e abbiamo favorito l'integrazione. Su questo Roma può essere portata davvero d'esempio». Che idea si è fatto dei romani? «Sono persone straordinarie. La città sembra disattenta ma nei momenti importanti ha l'unità di un piccolo villaggio». Quali situazioni ricorda con commozione? «Sicuramen