È BUFERA all'interno della Lega e il ministro del Welfare Roberto Maroni minaccia di dimettersi se non interverrà Umberto Bossi.
Maroni si dichiara indignato, chiede la testa del numero uno e attacca a testa bassa. Rivela - si legge in una nota diffusa dal ministero - di aver parlato dell'accaduto con Umberto Bossi «che era naturalmente all'oscuro di tutto». «Gli ho fatto presente il mio stupore e la mia indignazione - sostiene il ministro - comunicandogli altresì la mia convinzione che quanto accaduto dimostra la necessità improrogabile che alla guida del quotidiano della Lega nord venga messa una persona che sappia rilanciare il giornale puntando sulla qualità delle notizie e lasciando la spazzatura nel cestino». «Il pezzo - spiega Maroni - attacca sul piano personale in modo odioso due miei stretti collaboratori, Maurizio Sacconi e Giuliana Ledovi, avanzando esplicite, pesanti e inaccettabili insinuazioni su "probabili" scambi di favori tra la Confindustria e il ministero che ho l'onore di guidare». Arriva la replica di Moncalvo: «Dopo aver ascoltato l'onorevole Bossi e sulla base delle sue espressioni di fiducia e di stima, e delle sue indicazioni per me vincolanti». «Proseguo nell'incarico che mi è stato affidato e che, ovviamente, solo il direttore politico e il Consiglio di amministrazione possono, eventualmente, revocare», aggiunge il direttore della Padania. «Mi pare che Moncalvo dovrebbe essere più prudente prima di dire che va tutto bene così...», commenta subito Piergiorgio Stiffoni, senatore della Lega. Aggiunge Cesare Rizzi, deputato del Carroccio: «Maroni ha pienamente ragione, non parla a vanvera». E anche il comitato di redazione del giornale si schiera con il ministro. E in serata Maroni rincara la dose: o se ne va Moncalvo e me ne vado io. Dice il ministro: «Non credo nel comunicato di Moncalvo. Ho parlato con Bossi. O viene confermato quanto sta scritto nella Padania, oppure viene smentito. Ma se davvero dovesse essere confermato il contenuto di quell'articolo e non la mia onestà come ministro del Welfare, allora quel ministro del Welfare non starebbe un minuto di più a fare il ministro».