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FRA CRONACA E POLITICA

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Una Procura da anni sotto i riflettori

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Per quel che rappresenta il territorio bresciano e perché l'art.11 del Codice di procedura penale assegna ai magistrati del distretto di Brescia le indagini su fatti riguardanti i colleghi milanesi. E le polemiche che hanno tormentato il Palazzo di giustizia di Milano, da Mani pulite in poi, finiscono a volte per dar lavoro a quello di Brescia. Come adesso, con l'inchiesta su Ilda Boccassini e Gherardo Colombo, pm milanesi indagati per abuso d'ufficio in relazione all'ormai famosissimo fascicolo 9520. Il volto scavato di Giancarlo Tarquini, il procuratore capo, è diventato noto anche alla gente comune: perché sul suo tavolo piombano inchieste di forte impatto «politico» e altre che scuotono l'opinione pubblica (il massacro della 14enne Desirée, per fare uno degli esempi più recenti). Lui è a capo di questa Procura dalla primavera del '96, ma già un anno e mezzo prima l'istituto della rimessione, poco usato, aveva cominciato a segnare la strada della vita giudiziaria bresciana. Fu infatti su istanza di rimessione presentata da Carlo Taormina, difensore del generale della GdF Giuseppe Cerciello, che approdò al Tribunale di Brescia il maxiprocesso per la corruzione di alcune Fiamme gialle. Taormina aveva sostenuto, e la Cassazione gli aveva dato ragione, che a Milano non vi sarebbe stata la sufficiente serenità di giudizio, in quanto alcuni tra gli imputati erano stati ufficiali di polizia giudiziaria con i pm di Mani pulite. E fu appunto nel «processo Cerciello» che vennero le prime accuse all'allora magistrato simbolo di Mani pulite, Antonio Di Pietro. Prima il legale lanciò il sospetto di pressioni dell'ex pm sul generale perchè facesse il nome di Silvio Berlusconi nell'ambito dell'inchiesta (venne aperto un procedimento per abuso d'ufficio poi archiviato), poi Taormina chiese che Di Pietro venisse sentito come indagato in procedimento connesso. Il suo intervento e una serie di esposti causarono una lunga inchiesta che passò al setaccio l'attività di Di Pietro. Furono mesi di fibrillazione, a Brescia sfilarono i protagonisti della Prima Repubblica, le inchieste si conclusero con il proscioglimento di Di Pietro da accuse che andavano dall'abuso d'ufficio alla corruzione ed ebbero un' appendice con il processo che vide imputati per concussione ai danni dell'ex magistrato, tra gli altri, Cesare Previti e Paolo Berlusconi. Anch'essi assolti. E intanto c'erano state le inchieste connesse al suicidio in carcere dell'ex presidente dell'Eni, Gabriele Cagliari, altre su presunti abusi commessi dai magistrati milanesi durante le indagini di tangentopoli, un procedimento (archiviato) a carico di un magistrato che aveva condotto uno dei processi Calabresi conclusosi con la condanna di Sofri, la condanna per corruzione dell'ex presidente vicario del tribunale di Milano, Diego Curtò. Di Pietro tornò ad essere indagato nel '96 con l' inchiesta che lo vide accusato di corruzione con il banchiere Pacini Battaglia, l'avvocato Lucibello e l'imprenditore D'Adamo. Nuovo proscioglimento. D'Adamo, da amico, divenne accusatore di Di Pietro nei procedimenti nati dagli esposti di Berlusconi contro il pool Mani Pulite. Attentato al funzionamento degli organi costituzionali era l'accusa rivolta dall'attuale premier che riteneva i magistrati milanesi responsabili della caduta del suo primo governo. Anche questo finì con un'archiviazione. Ma i procedimenti nei confronti dei colleghi vicini di distretto rappresentano una piccola parte di quelli in cui sono impegnati i 18 pm dei quali Tarquini è a capo con il suo aggiunto Roberto Di Martino.

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