Volano le urla nel duello Fini-Tremonti
Poi si vedrà, poi decideremo sul da farsi». Gianfranco Fini, in ossequio ad un suo vecchio adagio (mai decidere a luglio o comunque in estate), ripete ai ministri di An riuniti nel suo ufficio al primo piano di Palazzo Chigi. È ancora il primo pomeriggio ma quello che sarà il clou della giornata sembra appena passato. Quattro ore prima in Consiglio dei ministri si è consumato un clamoroso strappo. Sul Corriere della Sera ci sono le parole di Fini che pesano: andiamo avanti anche se la Lega esce dall'esecutivo. Il vicepremier, in un'intervista, dice che il problema del governo «è Bossi, ricordi che ha il 3%». E aggiunge: «È fuori da ogni logica politica che con così pochi voti pretenda di imporre le scelte». E chiede un intervento di Berlusconi. È una sorta di de profundis per l'asse Tremonti-Bossi rimarcata poche righe dopo da Fini quando dice del ministro dell'Economia: «Forse ama l'impopolarità, deve capire che se il contratto del pubblico impiego rimane disatteso per sedici mesi le conseguenze negative si riflettono su tutto il governo». Ed è proprio sul quel contratto che in Consiglio dei ministri si registra lo scontro tra Fini e Tremonti. Il vicepremier, che ha siglato quel contratto nel febbraio del 2002 con i sindacati, sbotta e chiede conto durante la riunione del governo. Insiste in maniera ferma: «Caro Giulio - dice rivolto a Tremonti- le promesse fatte vanno mantenute». Chi c'era racconta di un Fini fermo e determinato, anche duro. Il ministro tiene, ma poi scoppia. Il leader di An se ne va nel suo ufficio, seguito da Gasparri e Alemanno; incontrerà Tremonti a lungo a faranno pace. Ma lo strappo è consumato. Berlusconi va via, non commenta, incontra alcuni ministri esteri. Poi porta con sè il titolare dell'Economia e vola ad Arcore per incontrare Bossi e cercare di ricucire anche con lui. Il numero uno del Carroccio sa di averla fatta grossa, sa che parte delle critiche che gli arrivano da Fini sono condivise dal Cavaliere, esausto per le continue liti e per lo spettacolo indecorso che stanno offrendo i leghisti ormai da settimane. Alle orecchie del Cavaliere sono arrivati anche i racconti dei suoi uomini più vicini come il portavoce Sandro Bondi, che ieri era proprio ad Arcore. Dunque, il presidente del Consiglio si presenta da Bossi riferisce delle condizioni di An e Udc che non sono più diponibili a sopportare i toni della Lega: «Se dovessero ancora una volta dire una cosa e farne un'altra, allora...». Non solo. Stop a «cene e cenette ad Arcore tra Bossi e Berlusconi: le riunioni d'ora in poi si fanno collegiali e nelle sedi opportune». Centristi e destra, sul tema più sentito dalle Lega, la devolution, sono disponibili a dare il via libera ma in una chiara cornice nazionale. Dopo Bossi dice: «È stato un incontro positivo quello con Berlusconi, possiamo trovare l'accordo». Il premier commenta con suoi più stretti collaboratori: «C'è un'evoluzione positiva, meglio fare le cose con calma: questo accordo deve durare tre anni».