Dagli italiani regalo di 60 milioni ai partiti
Proprio in un anno di sostanziale declino delle imprese italiane costrette a fare i conti con una semi-recessione e spesso con la crisi finanziaria, c'è un'industria che va a gonfie vele: quella della politica. Non meriti propri, ma grazie al contributo (obbligatorio) di tutti i cittadini, che amino o meno i partiti. Mentre la mannaia del decreto-salva conti pubblici voluto dal Ragioniere Generale dello Stato, Vittorio Grilli, si abbatte sui fondi dei ministeri tagliando automaticamente la spesa, un settore ne resta sempre indenne: quello dei trasferimenti dello Stato ai partiti politici. Così se in queste ore mancano i fondi per i pompieri, sarseggiano le risorse per la polizia, addirittura non ha più capienza il salvadanaio della polizia stradale con cui si paga la benzina delle volanti, continuano invece a scorrere i fondi dei rimborsi elettorali. Entro un mese lo Stato staccherà ancora una volta un maxi-assegno di oltre 145 milioni di euro da trasferire ai partiti e alle forze politiche rappresentate in qualche modo nel Parlamento italiano o in quello europeo. Solo l'ipocrisia dilagante può ancora chiamare quella normativa «legge sui rimborsi elettorali», perché come dimostrano i bilanci dei partiti del 2002 pubblicati in questi giorni sui loro giornali di appartenenza (moltissimi l'hanno fatto su La Discussione, risparmiando sui listini pubblicitari), i fondi trasferiti dallo Stato sono stati in media due volte superiori alle spese effettive di gestione, e anche cinque o sei volte superiori a quelle elettorali. Se non si considera l'incidenza degli oneri finanziari dovuti al debito del passato, su 145 milioni di euro incassati, i partiti politici sono riusciti a guadagnarne circa 80 milioni. Pagate le rate del debito accumulato (significative solo per i Democratici di sinistra e per Forza Italia, i due partiti più esposti con il sistema bancario), sono rimasti in cassa comunque circa 60 milioni di euro. Una bella sommetta, tanto più se si pensa che da Rifondazione ad Alleanza nazionale non comprende gli investimenti effettuati con la quota dei rimborsi davvero spesa: qualche assunzione (gli organici dei partiti sono tornati per la prima volta dal 1992 a crescere), e più di un investimento immobiliare per riaprire federazioni sul territorio. Ha senso che i partiti politici, essendo in teoria associazioni senza fini di lucro, abbiano alla fine un guadagno così notevole? Naturalmente no, e avrebbe tutte le ragioni del mondo il ministro dell'Economia e delle Finanze, Giulio Tremonti, a richiedere indietro quell'assegno eccedente, come talvolta accade perfino con gli organi costituzionali se i trasferimenti superano la spesa effettiva. In tempi di magra come questi anche quei 60 milioni di euro potrebbero fare comodo, ed essere più utilimente investiti in settori produttivi o in emergenze sociali. La nuova legge sui rimborsi elettorali approvata alla fine del luglio 2002 è riuscita per esempio a riportare il sole sui conti di Forza Italia. Il partito di Silvio Berlusconi aveva chiuso il 2001 con una perdita record di circa 42 milioni di euro. Il bilancio 2002 degli azzurri ha cancellato tutto il rosso e addirittura ha portato un utile di poco inferiore ai 48 milioni di euro. Va meglio, e non di poco, anche ai Democratici di sinistra di Piero Fassino. La gestione ordinaria 2002 (quella che non tiene conto degli interessi sul debito passato) riporta un guadagno di 13,8 milioni di euro. Il bilancio si chiude ancora in rosso di circa un milione di euro grazie al pagamento degli interessi e a una complessa serie di svalutazioni delle partecipazioni finanziarie e di liquidazioni di attività che però hanno consentito una notevole pulizia nei conti e la chiusura di buona parte dgeli incagli passati. Notevole l'utile di Rocco Buttiglione e del suo Cdu (4,3 milioni di euro), ottenuto però in gran parte grazie alla chiusura dei contenziosi con il partito popolare di Pierluigi Castagnetti che ha ricevuto in