Scarse le speranze di trovare i naufraghi ancora vivi
C'è vento, mare e le condizioni meteo vanno peggiorando. Poi, dopo 36 ore, le speranze di ritrovare qualcuno ancora in vita sono praticamente nulle. Si conclude questa ennesima, triste vicenda di povertà e speranza con un bilancio ufficiale di 41 naufraghi salvati, 12 cadaveri recuperati e 197 dispersi, i cui corpi fra giorni verranno ritrovati sulle lunghe spiagge del Golfo di Gabes o finiranno nelle reti di qualche pescatore. Il grande Golfo di Gabes, a Sud dell'importante porto industriale di Sfax, tra le isole Kerkennah a Nord e la piatta Djerba a Sud. È lì che le correnti spingono sempre i resti della moltitudine che, in cerca di una vita migliore, trova la morte attraversandone le acque, in direzione di Malta o dell'Italia. E tutti i giorni uno o due cadaveri vengono restituiti dal mare. Sono i clandestini più poveri, quelli che vengono dai Paesi dell'Africa subsahariana. Arrivano in vista del mare, si fermano a Nalut, villaggio libico vicino al confine con la Tunisia oppure aspettano in improvvisati accampamenti fuori dai centri abitati il giorno in cui potranno partire. E per partire sono disposti a salire praticamente su qualsiasi cosa galleggi. «Era una barca in condizioni pessime e sovraccarica» hanno raccontato alcuni dei 41 sopravvissuti all'ultima tragedia. Sono partiti alle sei del mattino di giovedì dalla spiaggia di Zouara (Libia) diretti a Nord, verso l'Italia. «Avevamo pagato tutti ai nostri "passeurs" in Libia dai 500 agli 800 dollari - dice uno di loro -. Eravamo in tanti sulla barca, che quasi subito ha cominciato a imbarcare acqua, noi cercavamo di toglierla, ma poi, a un certo punto, la barca si è rovesciata ed è colata a picco». «Quando è affondata - aggiunge un altro - sarà stata l'una del mattino di venerdì. Abbiamo nuotato per cinque ore prima di essere salvati».