Tortora, un calvario giudiziario
Un venerdì. Oggi, 17 giugno 2003, saranno passati vent'anni esatti dall'inizio di un calvario giudiziario e umano durato un lustro: solo il 17 marzo 1988, infatti, la Cassazione assolve in maniera definitiva Enzo Tortora dalle infamanti accuse di collusione con la camorra e di spaccio di droga. Lui, però, non potrà godere a lungo dell'onorabilità restituita pienamente: morirà due mesi più tardi. È stato definito il primo caso di «manette spettacolo». Il blitz contro il clan di Raffaele Tutolo che lo portò in carcere insieme ad altre 400 persone (gli ordini di arresto erano 856 in tutto) - tra macchine fotografiche e telecamere che immortalarono l'evento - aveva un nome in codice quasi beffardo: «Portobello»; ossia il titolo della trasmissione che Tortora tornerà a condurre il 20 febbario del 1987, dopo che un anno prima - il 17 settembre dell'86 - la Corte di appello di Napoli aveva ribaltato la condanna in primo grado a dieci anni, inflittagli dal Tribunale dello stesso capoluogo partenopeo. «E allora, dove eravamo rimasti?» esordì con queste parole il presentatore nel giorno del suo gran rientro in tv. A lui, nel '99, Michele Placido ha dato il volto nel film «Un uomo perbene», ripercorrendo l'odissea giudiziaria cominciata vent'anni or sono e originata dalle dichiarazioni di un manipolo di «pentiti» che poi sono risultate menzogne. Una vicenda, il caso-Tortora, che fu anche politica. Il 10 giugno del 1984, infatti, a pochi giorni dall'inizio del processo che lo riguardava, il giornalista viene eletto parlamentare europeo nelle liste del partito radicale e viene rimesso in libertà. Sarà lui stesso, comunque, a chiede all'assemblea di Strasburgo di dare l'autorizzazione per l'avvio del dibattimento. Il processo comincerà il 20 febbraio 1985. È un maxi-dibattimento, alla sbarra ci sono altri 246 imputati. La sentenza viene pronunciata a settembre: Tortora è condannato a dieci anni. In attesa dell'appello, il presentatore torna a sedere a Strasburgo. Ma a dicembre si dimette da europarlamentare, consegnandosi ai carabinieri in Piazza Duomo a Milano. Chiede di essere arrestato, ottiene i domiciliari. A settembre del 1986 la prima vittoria: i giudici della Corte d'appello di Napoli lo assolvono «per non aver commesso il fatto». Un'assoluzione confermata il 17 marzo 1988 dalla Cassazione.