«Così aiuto i giornali ai tempi di Tremonti»
Come dice Silvio Berlusconi non è la sede ideale e più funzionale per un governo, ma la stanza del sottosegretario con delega all'Editoria, Paolo Bonaiuti, non ha proprio nulla che indichi il desiderio di governare. Ordine perfetto, legni e tapezzerie curate, la televisione, sì con schermo generoso e buona tecnologia, ma in un angolo con salottino a fronte. Il computer, un Macintosh ultima generazione, è intonato all'ambiente. Ma sì, Bonaiuti ha già trasformato quella stanza con affaccio su piazza Colonna in uno specchio autoreferenziale. Non è più un ufficio, ma lo studiolo del buen retiro di campagna. Un grande quadro con scene di caccia alle spalle, «l'autore è del Seicento austriaco. Me l'ha tirato fuori Vittorio Sgarbi dalle cantine, era piegato in due, impolverato in un angolo». Bello è bello, come gli altri appesi alle pareti. «Secondo Sgarbi questo è il più importante», spiega Bonaiuti indicando un dipinto un po' scuro, un paesaggio collinare, «ma è da fare restaurare, devo trovare i fondi». Già, i fondi. Quelli che non ci sono mai, la dannazione di tutti i ministri del governo Berlusconi. Ne avrebbero bisogno per il loro ministero. Per accontentare qualche lobby. Per fare vedere che si è davvero al governo nel proprio collegio elettorale, magari in quello dove si è appena votato per le amministrative (e si è perso). Ma nulla da fare, le chiavi della cassaforte le ha il temuto e non proprio amato superministro dell'Economia, Giulio Tremonti. Dentro c'è poco, e comunque quella cassaforte ora non si apre. Niente fondi. Eppure proprio a parlare di fondi siamo venuti a palazzo Chigi. Quelli della nuova legge di riforma dell'editoria che Bonaiuti sta ancora limando e cucendo dopo averla fatta esaminare in un pre-consiglio dei ministri. Entro fine mese diventerà un disegno di legge da portare alle Camere. E forse potrà intrecciarsi con un'altra spinosa questione, che il presidente del Consiglio ha affidato ancora una volta al suo sottosegretario con delega sull'Editoria: quella della diffamazione a mezzo stampa. Parliamo di editoria, ed è naturale cominciare da quello sciopero dei giornalisti nato «per difendere la libertà di informazione» e declinato in una sorta di protesta di parte della categoria nei confronti del governo Berlusconi. Che effetto le fa questo sciopero? Non parlo dello sciopero... Ma come, è uno sciopero contro di lei? Contro di me? Ma no, no. E chi mai può avercela contro di me? Fa parte del governo, e questo è uno sciopero contro il governo... Non parlo dello sciopero. Va bene, allora mi racconti la riforma della legge sull'editoria. Una riforma senza soldi... No, è una legge che parte proprio da quella constatazione. I diritti sono molti, il settore ha vissuto una grave crisi dopo l'11 settembre, la pubblicità non c'è e purtroppo la capienza dei fondi che avevamo messo nella finanziaria è quella che è. Non ha soddisfatto, al contrario di quello che avremmo voluto, le richieste della stampa. E allora pioveranno più soldi? Diciamo che per avere più fondi, si attenderanno tempi migliori. Intanto però si razionalizzerà l'esistente. Fatti salvi i diritti acquisiti, si snelliranno e renderanno più efficaci le procedure. E si cercherà di fare spendere quello che effettivamente deve essere speso, senza intoppi burocratici. Che significa, mi faccia qualche esempio... La pubblicità degli enti locali. La riforma prevede che pubblichino tutti i loor bilanci e i bandi di gara su un quotidiano nazionale, su un periodico e su due quotidiani locali... Vero, ma lo prevede anche la normativa attuale. Già, e poi per intoppi burocratici di varia natura questo non avviene. Ora introduciamo una norma che responsabilizza del procedimento una persona in ogni ente locale. Se la legge non viene attuata e rispettata, ne risponde lui di tasca sua, salvo cause di forza maggiore. Capito. E poi? Poi, dopo la sperimentazione, rendiamo stabile l'allargamento dei canali di vendita dei quot