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Telekom Serbia, 173 miliardi da spartire

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«Facevo l'ufficiale pagatore. Sono stato minacciato di morte»

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Milosevic aveva venduto la Telekom Serbia a un prezzo esorbitante al Governo italiano». Igor Marini ha spiegato così, ai magistrati elvetici che lo avevano fermato e poi arrestato lo scorso 8 maggio, il perchè della sua trasferta a Lugano, accompagnato da una delegazione della Commissione parlamentate italiana Telekom Serbia, alla ricerca di quei documenti depositati presso il notaio Gianluca Boscaro che proverebbero, a suo dire, l'esistenza di presunte tangenti legate all'acquisto, nel 1997, del 29% della società telefonica serba. L'8 maggio, dinanzi al procuratore pubblico ticinese Claudia Solcà, Marini poteva avvalersi della facoltà di non rispondere. Invece - come risulta dai verbali dell' interrogatorio - comincia subito a parlare del suo ruolo di «ufficiale pagatore», dei suoi rapporti d'affari con Boscaro, con l'avv. Fabrizio Paoletti e con Francesco Giannandrea, di un trasferimento di un milione e 100 mila euro dalla Banca del Sempione di Lugano al Credit Suisse, e dell'apertura di un conto presso la Adams Bank intestato a suo nome ma di cui di fatto non era il beneficiario. Tuttavia, nel corso del suo primo interrogatorio e di quelli successivi dinanzi alla magistratura elvetica, non fa mai diretto riferimento alle cifre di cui aveva parlato il 7 maggio in Commissione Telekom Serbia, vale a dire i 173 milioni di dollari totali che avrebbe «ripulito» per conto di Paoletti e i 55 milioni che si riferirebbero, a suo dire, alla tangente Telekom Serbia. Secondo Marini la «sopravvalutazione totale dell'affare ammontava a mille miliardi di lire». Di questi, 827 miliardi sarebbero andati al regime di Milosevic, mentre «i restanti 173 miliardi di lire sono stati depositati a Monaco di Baviera come fondi di aiuto umanitario della Cee a disposizione della commissione per la ricostruzione e gli aiuti della Serbia». «È chiaro quindi - conclude Marini nel suo primo interrogatorio - che il denaro era provento di una truffa perpetrata da persone che erano al Governo in quel periodo in Italia e con incarichi di governo, nonchè di corruzione». E infatti fu durante un pranzo, nel corso del quale Igor Marini sarebbe stato - a suo dire - minacciato di morte dall'avvocato Fabrizio Paoletti, che a Marini sarebbero state svelate le vere identità di Prodi, Fassino, Dini e signora, sino a quel momento soprannominati «Mortadella», «Cicogna» e signori «Ranocchio» e «Ranocchia». Lo sostiene Marini nel suo penultimo interrogatorio, quello del 23 maggio scorso, dinanzi al procuratore federale Sergio Mastroianni. Era il 2 maggio 2002, giorno in cui fu arrestato Paoletti dai carabinieri su denuncia dello stesso Marini. Oggi è previsto un nuovo interrogatorio a Berna. Marini verrà sentito nell'ambito dell'inchiesta che lo vede indagato per riciclaggio. Sul fronte italiano, invece, i magistrati della Procura di Torino che ascolteranno una seconda volta Marini. In risposta alle proteste dell'opposizione, Enzo Trantino (An), presidente della Commissione Telekom Serbia, replica così: «Noi restiamo fermi al metallico principio di garanzia: dateci i riscontri e scopriremo l'attendibilità. È quello che aspettiamo dalla prossima missione in Svizzera». Missione che - conferma il presidente - si dovrebbe tenere entro la fine di giugno.

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