Storace: «Troppi no al mondo cattolico»
E riflette a voce alta, in parte si sfoga, ragiona «ma - avverte - niente battute: non vorrei traumatizzare i lettori del Tempo». Sono passate oltre quattro ore da quando il presidente della Regione Lazio ha lasciato il summit del suo partito, visibilmente irato: «Non è vero, non ero arrabbiato - smentisce Storace -. Volevo riflettere e poi non ho detto una parola fino ad ora per rispetto al mio partito che ha diffuso una nota». Abbiamo perso. «Abbiamo onestamente ammesso la sconfitta - dice Storace -. Siamo nella stessa situazione del '97, quando Rutelli vinse per la seconda volta. Fu per noi una sconfitta netta, ma anche l'inizio di una rinascita». Il signor Bossi. «Abbiamo perso per due motivi. Il primo è di carattere politico. Abbiamo fatto una campagna elettorale tutta in salita con il signor Umberto Bossi, ministro del governo della Cdl, che ci ha dato una gran mano». La settimana. «Leggo i titoli delle prime pagine dei giornali. Lunedì: Roma ladrona. Martedì: le vicecapitali. Mercoledì: bizzarie sul tricolore. Giovedì: battuta contro Alberto Sordi. Venerdì: ostruzionismo al governo. A due giorni dal voto facevano ostruzionismo al provvedimento dell'esecutivo sulle quote latte. E adesso cosa dovremmo fare? Usare linguaggio da trivio contro il Friuli e contro la candidata Alessandra Guerra? È stata una campagna contro Roma più che contro il Sud. Per Moffa è stata tutta in salita». Il voto cattolico. «Ecco il secondo motivo. Era difficile - aggiunge il presidente della Regione - fare campagna quando abbiamo detto due no pesanti al mondo cattolico, anche quello che ci vota. Il primo sulla guerra. Il secondo sull'indulto. Proprio questo è molto difficile da spiegare quando poi proponi di reintrodurre l'immunità parlamentare». Dell'Utri. «Potrebbe essere un po' più riconoscente nei confronti di Alleanza nazionale che gli è sempre stata al fianco». Loro più motivati. «I nostri avversari erano molto più motivati - continua Storace -. Da noi c'era meno trasporto. Cosa vuol dire? Se dico a uno di votarci, questo viene alle urne. Se c'è trasporto, viene con altre dieci persone». Roma a sinistra. «Anche quando ho vinto - riflette il presidente della Regione - a Roma arrivai davanti a Badaloni, il candidato dell'Ulivo, ma mi fermai al 49,7%. Perché? Ci sono delle tradizioni in cui è difficile entrare. Ma siamo qui per lavorare». Tre soluzioni. «Ora sarà necessario agire su tre livelli: la verifica di governo, per vedere cosa e quando cambiare; la struttura del partito a livello nazionale; ritrovare l'umiltà nella Cdl». Governo. «Ci sarà la verifica, ci penserà la verifica. È meglio che non parlo su cosa cambiare. Per ora». Partito. «Finalmente ho capito che Fini si è convinto a nominare un coordinatore organizzativo di An, in modo da rivedere la struttura del partito. E io mi tolgo subito di torno. Faccio il presidente della Regione e non posso occuparmene. Dico questo: un ministro si può sostituire, il presidente della Regione è eletto direttamente dal popolo e non può essere cambiato in corsa». F. D. O.