Questa Rai discrimina solo i moderati
«Santoro? Da tempo ha avviato l'operazione martirio, ma ora penso stia giocando su un altro piano, forse vuole ottenere un ruolo politico, altrimenti non agirebbe in questo modo...». «La crisi aziendale? Risale, come ha detto l'Annunziata, a tempi passati e a scelte fatte da altri vertici in un clima politico diverso». È l'involontario protagonista della giornata, Marcello Veneziani, consigliere giovane di viale Mazzini, filosofo e polemista di chiara fama che ha appena ricevuto la delega per l'indirizzo e lo sviluppo delle reti Rai e ieri, dopo l'audizione in Vigilanza, è stato al centro di un vivace scambio di battute con lo stesso Santoro che lo ha accusato di non tener conto di un «ordine del giudice». Partiamo da Santoro, dopo le ultime sue uscite «anti-Rai», sarà impossibile ricucire? «Sta creando serie difficoltà ad un suo rientro. Gli ultimi episodi sono gravissimi. Ma io ancora punto sul programma che potrebbe vederlo in coppia con un collega di opposta estrazione, come Moncalvo o Beha, una sorta di "Milano, Italia", ma a due voci». Pluralismo: la Rai è più di destra o più di sinistra? «Mi auguro che la Rai venga giudicata per le sue azioni senza pregiudiziali, ma se al suo interno c'è uno squilibrio nella rappresentazione delle sensibilità del Paese, è proprio a danno di quelle di tipo religioso e politico o culturale moderato». Crisi degli ascolti: come superarla? «Dando identità a tre reti generaliste che si differenziano solo per area politica. E con un rilancio della cultura popolare. Ci sono programmi Rai che non vorrei più vedere. Non c'è diversità tra reti Mediaset e Rai. E ciò che va in onda da noi sembra la brutta copia delle loro trasmissioni, perché il nostro linguaggio rimane più ingessato: dobbiamo sempre fare i conti con la politica e con i paletti del servizio pubblico. Sono per un ritorno alla Rai che suscitava orgoglio e fiducia per la sua creatività: quella di Bernabei e Guglielmi». Che cosa si può fare concretamente? «Pensare una rete quasi priva di pubblicità con un palinsesto che riesca a conciliare cultura nel senso pieno e originale e servizio pubblico, qualità e credibilità. Una rete che può fare a meno di competere sugli ascolti, ma miri piuttosto a raggiungere un alto livello qualitativo». Lei ha preso ad esempio Bernabei e Guglielmi, ma i tempi sono cambiati e anche i conti. «E vero, ma a noi tocca dare l'indirizzo, al dg far quadrare conti e ascolti». Come si fa ad abbandonare i format? «Creando una serra creativa e sperimentando nuovi programmi sul satellite. Questa rete "platonica" deve poi potersi calare nel reale». Perché è contrario al trasferimento a Milano delle produzioni di RaiDue? «Perchè deportare un programma che qui funziona bene? Piuttosto sarebbe meglio crearne lì dei nuovi».