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L'attività formativa deve tener conto delle mansioni del lavoratore

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La Cassazione, con la sentenza 1066/2003, nelle more di un giudicato in materia di contratti di formazione lavoro stabilisce alcuni criteri generali che potrebbero essere determinanti per la definizione di molte pendenze giudiziarie in ordine ai percorsi di riqualificazione nel pubblico impiego. Com'è noto, la sentenza della Corte costituzionale 194/2002 ha posto il problema dell'illegittimità delle procedure di inquadramento in posizioni economiche superiori per gli «statali» a seguito di formazione e riqualificazione al di fuori del concorso pubblico. Un problema spinoso, questo, per migliaia di pubblici impiegati che temono di perdere i vantaggi di «promozioni» attese da anni. E neanche la recente bozza di accordo firmata da molti sindacati riesce a risolvere definitivamente il dilemma. Non è un caso, infatti, che a oltre due anni dall'espletamento delle prime tornate concorsuali siano ancora in preparazione ricorsi all'autorità giudiziaria. La sezione del lavoro della Suprema Corte, confermando una sentenza del tribunale di Latina, ha spiegato che l'attività formativa deve essere modulabile in relazione alla natura e alle caratteristiche delle mansioni che il lavoratore è chiamato a svolgere e può assumere maggiore o minore rilievo a seconda che si tratti di lavoro di elevata professionalità o di prestazioni esecutive. Per i giudici ciò è necessario per garantire il controllo sul concreto svolgimento dell'attività formativa, avente ad oggetto l'acquisizione dell'esperienza necessaria per svolgere l'attività a cui destinare il personale. La valutazione della adeguatezza e idoneità è rimessa al giudice di merito - secondo i giudici - ed è legittima, se congruamente motivata. In sostanza, la Cassazione, pur senza escludere che la formazione possa avvenire durante lo svolgimento delle mansioni, stabilisce che è in ogni caso necessario, da parte del datore di lavoro, provare di avere posto in essere una effettiva formazione sul lavoratore. Per i giudici, quindi, l'affermazione che la formazione teorico-pratica identificabile con «lo svolgimento delle mansioni», non sia, di per sé, sufficiente a configurare un'attività formativa «effettiva», va a limitare ulteriormente il potere di rivendicazione legato al «mansionismo» di molti lavoratori pubblici.

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