«Il Cavaliere ha impresso un nuovo corso all'Italia»
«Mi fa sorridere chi lo giudica uno sprovveduto. Però non ha una sua idea del nostro Paese»
Sarà la macchina dell'onorevole Maccanico a traghettare il Paese oltre la crisi? Da qualche tempo il suo nome rimbalza dalle pagine dei giornali alla tivù: il suo «lodo» per il ripristino di una politica ragionevole garba al Capo dello Stato e ai moderati dei due blocchi. Così sono andato a stanarlo. Nato ad Avellino 78 anni fa, Antonio Maccanico fu segretario generale al Quirinale, presidente di Mediobanca e più volte ministro. Mentre mi indica una poltroncina di pelle nera, l'elusivo deputato dell'Ulivo tira un sospiro: «E va bene, facciamo questo viaggetto à rebours: gli italiani sono così smemorati!». Gli chiedo degli anni in cui fu il «consigliere del principe». È vero che Pertini era tutto motore e niente freni? «Sì: era una bella Ferrari con qualche problema in curva. Io mi limitavo a segnalare i dossi pericolosi». Ma lui ascoltava? Metteva il piede sul freno? «Non sempre; e in ogni caso, non subito. Abbiamo fatto delle litigate omeriche. Ma era profondamente onesto; ed è successo che il giorno dopo mi chiamasse per dire, scusi se ho alzato la voce, aveva ragione lei». Maccanico è una delle rare teste pensanti e sa leggere come pochi le assurdità della nostra politica. Gli chiedo: Perché la sinistra, così orgogliosa delle sue radici, così fiera dei suoi Labriola, Gramsci, Togliatti, alle elezioni deve nascondersi dietro l'icona di un «altro da sé», un pacioso reverendo in missione a Bruxelles? «È uno dei tanti misteri di Montecitorio». Maccanico esita, poi affronta la questione italiana da un angolo visuale inedito e inquietante: «C'è un nodo irrisolto, una grande tragedia che ha bloccato la nostra evoluzione: il delitto Moro. Sul quale non si è detta l'ultima parola. Moro viene ucciso nel maggio del 78, giusto 25 anni fa. Ma nel giro di pochi mesi, muoiono anche Enrico Berlinguer e Ugo La Malfa. È stata una perdita enorme, l'inizio della sclerosi partitica. Non dimentichiamo che la nostra democrazia è una pianticella esile. Dopo i vent'anni di Fascismo, ne abbiamo avuti altri quaranta di guerra fredda: due partiti, due grandi chiese, la cattolica e la comunista, che si affrontavano senza esclusione di colpi. Poi ci fu il primo tentativo di disgelo, il centro-sinistra. Ma a dispetto delle illusioni di Craxi, fallì: il Psi non andò mai sopra il 15 per cento. Per questo motivo La Malfa e Moro si incontrarono più volte in segreto, per attrarre il consenso della classe operaia e portare i comunisti nel recinto della socialdemocrazia europea. Ma questo 'salto nel buio' spaventò sia la Russia che l'America. Ora io non so fino a che punto le Brigate Rosse fossero infiltrate, come s'è scritto; ma è un fatto che la politica ha subito un ictus, una sorta di paralisi. Abbiamo perso vent'anni, e gli ex del Pci stanno ancora lì a tormentarsi tra massimalismo e riformismo, benché il crollo del Muro di Berlino sia ormai lontano anni luce». Dopo la morte di La Malfa la sinistra è apparsa più povera. «Sì, perché Ugo era il più moderno di tutti. Più di Moro e di Berlinguer, che in fondo guidavano due partiti-chiesa. Non parliamo poi della cosiddetta "terza via" di Berlinguer: rincorreva i miraggi dell'utopia». Dopo la stagione al Quirinale, lei «s'è sporcato le mani» con la politica attiva: è stato ministro con Andreotti, De Mita, Ciampi. Ma non ha mai detto nulla sulla vicenda che stava per portarla a Palazzo Chigi. «La storia vera? Eccola: mi chiamò Berlusconi, il governo Dini era in crisi e lui mi propose: Caro Antonio, so che tu stai dall'altra parte, ma sei uomo delle istituzioni, io mi fido del tuo equilibrio e del tuo fair-play. Io cercai di tergiversare, opposi delle riserve. Ma Berlusconi era deciso, e mi mandò Fini. Fini non dovette fare molta strada, perché lui ha l'ufficio e io la casa in via della Scrofa. Sembra che tutto vada come l'olio. Fatta la lista dei ministri, mi reco da Scalfaro al Quirinale. Ma a quel punto...». Ecco, chi fu il Giuda? «Ma no, nessun Giuda. Oppure ce ne fu più di uno.