Un elettore su tre «migra» fra partiti e Poli
L'appuntamento è di quelli che non dovrebbero incidere più di tanto sugli equilibri politici nazionali, e invece già se ne scontano in anticipo le funzioni latenti - e istituzionalmente improprie - di una prova di forza tra maggioranza e opposizione, con significati che vanno ben al di là delle situazioni locali. E' questa la conseguenza di una "campagna permanente" che, non solo nelle ultime decadi di "seconda repubblica", ma già durante gli anni d'oro della "prima repubblica" ha tenuto sempre alta la febbre politica del paese. Il fatto nuovo è che, da un po' di tempo a questa parte, gli elettori italiani hanno preso a distinguere con una certa accuratezza l'entità e la natura delle diverse poste in gioco, e comunque si dimostrano meno accondiscendenti a seguire i partiti negli appelli di costante mobilitazione generale, per i quali ogni consultazione - locale, nazionale, o europea - finisce per diventare una prova generale o una prova d'appello. E' quanto emerge da una indagine che la sezione di studi politologici presso il Centro di metodologia delle scienze sociali della Luiss-Guido Carli ha svolto sul tema dei comportamenti elettorali degli italiani (su un campione rappresentativo di 1000 intervistati fra la popolazione elettorale). Alla richiesta di indicare come ha votato negli ultimi cinque anni, in occasione di consultazioni amministrative e politiche che si tenevano nello stesso giorno o comunque assai ravvicinate nel tempo, il 43% del campione dichiara di avere sempre votato per lo stesso partito, il 21% per partiti diversi ma all'interno della stessa area politica, e il 33.2% per partiti o candidati anche di area diversa (ricordiamo che la sequenza del ciclo elettorale proposto comprende le elezioni regionali ed elezioni europee del 1999, le elezioni politiche e comunali del 2001, le elezioni amministrative del 2002). Se le cose stanno effettivamente in questo modo, allora dovremmo ancora attenderci livelli piuttosto elevati di volatilità e di mobilità nei comportamenti elettorali: che significa elettori piuttosto inclini a muoversi da una parte all'altra dello schieramento politico, tanto più intensamente quanto più è marcata la percezione differenziata del voto per i governi locali. Non è un caso, da questo punto di vista, che la maggiore disponibilità a cambiare di volta in volta, anche in base alla natura della consultazione, provenga dai settori di elettorato moderato (sia di centrodestra che di centrosinistra), mentre le posizioni di maggiore fedeltà alla logica partitica si rinvengano nell'elettorato radicato nelle posizioni più estreme, sia a destra che a sinistra. Segno fra l'altro che molto è cambiato e molto sta ancora cambiando nella cultura politica degli italiani. In un senso piuttosto coerente con l'evoluzione più recente dei sistemi di democrazia occidentale. Come dimostrano i dati relativi alle forme di coinvolgimento politico ovvero le forme della cultura politica che prevalgono nel nostro paese. Da cui risulta che quasi il 60% degli intervistati è disposto a spendersi in politica solo quando entrano in gioco interessi nazionali; il 27% quando si tratta di interessi che attengono alle sfere collettive della comunità locale (poco la regione, molto il comune); e il 14% solo se e in quanto sono coinvolti i propri interessi personali. La cultura civica di tipo "parrocchiale" - come si usa definire questa predilezione per il localismo - è più diffusa nelle regioni del Nord-est ma anche a Sud (e da questo punto di vista il leghismo sembra avere molti aspetti in comune con il "familismo" meridionale). Mentre, d'altra parte, il modellino statistico del "cittadino partecipativo" ci fa intravedere la figura di una donna, di mezza età, residente nelle regioni nord-occidentali del paese. Ma la sua è comunque un'attitudine, una predisposizione mentale che spesso non si traduce in comportamenti coerenti e concreti, come ad esempio, iscriversi ad un partito o a un'associazione, sia pur