Per Via Nazionale la vicenda «è una trappola», è stato un grave errore lanciare il quesito e bisognerebbe invece approvare le proposte fatte dall'Ulivo
18 anche ai lavoratori delle imprese che hanno meno di 16 dipendenti. Di fronte alla paura di scontentare comunque una parte dell'elettorato, ieri la segreteria nazionale della Quercia ha deciso di non esprimersi per il «sì» e nemmeno per il «no». Ha deciso invece di proporre la questione agli organi direttivi del partito e ha sottolineato che le elezioni amministrative sono la priorità maggiore. La Margherita invece ha ribadito la sua decisione per il «no», mentre Bertinotti, fautore del «sì», ha commentato che i Ds non sanno che pesci pigliare. «Il referendum sull'articolo 18 è un'iniziativa dannosa per i lavoratori, per le imprese e per il paese», si legge nel comunicato della segreteria diessina, che sottolinea che «un prevalere del sì avrebbe solo conseguenze negative» ma anche che «il semplice ricorso al no risulta inadeguato». La priorità invece sono le prossime elezioni amministrative. Una vittoria dei sì, secondo il partito di Fassino, «equiparerebbe in modo insensato le piccole aziende alle grandi imprese, senza affrontare e risolvere i problemi delle lavoratrici e dei lavoratori delle aziende» più piccole. Inoltre, dato che «il semplice ricorso al no risulta inadeguato, sia a tutelare i lavoratori delle imprese minori che a corrispondere alle esigenze delle aziende sotto i 16 dipendenti», la Quercia ribadisce «la posizione nettamente critica verso la scelta di promuovere il referendum e conferma la sua inutilità». Servirebbe invece, secondo i ds, «una convincente soluzione legislativa del problema, in sintonia con le proposte, alternative a quelle del governo, elaborate unitariamente dall'Ulivo», che sono in attesa di essere esaminate dal Parlamento. Nelle prossime settimane quindi la segreteria, si legge nella nota, «proporrà agli organismi dirigenti di assumere sul referendum del 15 giugno una posizione del tutto coerente col giudizio politico negativo espresso in questi mesi». Il responsabile economico del partito, Pierluigi Bersani, spiega che non bisogna cadere nella «trappola del referendum» e che ci sono «tre o quattro soluzioni possibili, come la non indicazione di un orientamento del partito o l'invito all'astensione». Per il sì si schiera invece Alfiero Grandi della minoranza del partito: «La mia opinione resta immutata: al referendum occorre votare sì» anche perché «un risultato negativo creerebbe più problemi della vittoria del sì». Fuori dalla Quercia, nell'Ulivo la Margherita conferma la decisione per il «no», così come l'Udeur di Mastella. Al contrario i Verdi col capogruppo al Senato Natale Ripamonti si chiede «cosa c'è di dannoso in questo referendum» che punta a estendere a tutti i lavoratori le garanzie contro i licenziamenti senza giusta causa. Una situazione che al momento sembra portare acqua soprattutto al mulino del Prc di Bertinotti. «La posizione di Bersani è quella di un dirigente dei Ds, cioè di un partito molto imbarazzato che non sa che pesci pigliare di fronte al fatto che sta crescendo il fronte a favore del si al referendum». Sul fronte sindacale, intanto, mentre la Cgil deve ancora dare la propria indicazione e mentre la Cisl e per far fallire il referendum che considera in sostanza antisindacale, la Uil annuncia che riunirà la direzione per decidere la propria posizione il 13 maggio e non più il 9 maggio, come previsto in un primo tempo. D. T.