Roma Capitale, nuovo altolà a Bossi An e Udc gettano acqua sul fuoco. Palazzo Chigi non sarà più parte civile contro i Serenissimi

E afferma: si può trattare. È successo tutto nel giro di poche ore, il tempo necessario per il ministro delle Riforme di incassare ancora un netto stop da An e Udc. A rendere nervoso il leader della Lega Nord è ancora Roma Capitale (e soprattutto i fondi per la città) e la devolution. «Non c'è il minimo dubbio - dice apertamente Bossi - che se salta qualcosa sulla devolution salta tutto». Gli chiedono: anche il governo? «Non c'è il minimo dubbio, questo è chiaro», risponde Bossi. Che aggiunge: «Berlusconi lo sa bene perchè abbiamo fatto l'accordo. Mica l'abbiamo fatto perchè lui è bello o per altro. È stato fatto perchè era una strada ormai aperta, dagli anni di lotta della Lega, per ottenere il federalismo». «Bossi non è minacciato e quindi a sua volta farebbe bene a non minacciare», gli rispode il presidente dell'Udc, Marco Follini, che ricorda come «c'è un impegno a votare la devolution e a mettere in pista un nuovo e più ampio disegno di legge di riforma federalista. Per noi, il ddl sulla devolution è un punto fermo e l'impegno sul secondo ddl un punto fermissimo». Ancora più netto Gianfranco Fini: «Sulla devoluzione è passato un messaggio sbagliato. Sul cuore del provvedimento non ci sono state divisioni». Però, si rammarica il vicepremier, «l'attenzione mediatica si è spostata su un tema marginale, come quello dell'idea bizzarra, provocatoria, divertente di Bossi, su città che, accanto a Roma Capitale, possano avere maggiori poteri». Più tardi Fini replica direttamente: «L'onorevole Bossi sa che il Consiglio dei ministri ha inserito, senza modificare neppure una virgola, la devolution nel disegno di legge approvato per riordinare il titolo V della Costituzione. I deputati della maggioranza voteranno convintamente la devoluzione fin da lunedì, quando sarà in votazione alla Camera». «Mi spezzo ma non mi spiego: questo è lo slogan di Umberto Bossi che io conosco meglio di voi», ironizza il capogruppo di An alla Camera Ignazio La Russa, che aggiunge: «Se Bossi si spiegasse, sarebbe tutto più comprensibile». Il presidente della Regione Lazio Francesco Storace si spinge oltre: «Il dibattito parlamentare sulla devolution non può procedere a strappi. Non si può più andare avanti a suon di bizzarrie tardo-nordiste». E avverte: «Anche la vicenda delle vicecapitali è una manifestzione di ignoranza crassa. Ma in quale parte del mondo esistono le vicecapitali? Quanto allo status di Roma capitale, non capisco perché gli amici della Lega si scaldino tanto: questo status viene attribuito proprio alle capitali degli Stati federali, dagli Stati Uniti alla Germania». Il ministro delle Politiche Comunitarie, Rocco Buttiglione, preferisce sorridere: «Il voto sulla devolution è un voto superfluo, perchè è già inserita nel nostro ddl. È una cosa inutile, ma anche nei grandi amori a volte si chiedono delle cose inutili come prova di fedeltà». Di fronte al muro, Umberto Bossi è costretto a fare una parziale marcia indietro. E afferma che su Roma Capitale e sulle vicecapitali si può trattare. «Il problema - dice il leader della Lega - non è tanto la definizione di Roma Capitale. Se dipendesse da me, non parlerei di soldi, perché è questo che forse indispone. Parlerei di Roma Capitale e basta». Ma se questo, ammonisce Bossi, «significa equipararla ad una regione speciale, che può farsi le leggi e autofinanziarsi, allora bisogna andarci piano». E sulla provocazione delle quattro vice-capitali - Milano, Firenze, Napoli e Palermo - Bossi chiarisce: «Io credo che tutti i capoluoghi di Regioni possano essere vice-capitali, quindi anche Venezia, ma si può trattare». Dopo aver criticato la vecchia proposta di federalismo "caotico" dell'Ulivo, il leader della Lega cita come esempio di federalismo «già fatto», il trasferimento di Rai Due a Milano, ed infine rivendica come una vittoria personale la riforma della Corte Costituzionale con la sua regionalizzazione «in cambio - conclude - del principio dell'interesse nazionale messo come cappello»