«Processo» alla rivoluzione francese
Rivoluzione come madre della nostra modernità ma anche come virus portatore di ideologie nefaste. Si è parlato di questo ieri nella sala Angiolillo di Palazzo Wedekind, sede de «Il Tempo», in occasione della presentazione del nuovo saggio di Riccardo Pedrizzi, senatore di An (presidente di commissione Finanze) e studioso di dottrine politiche. A discutere con l'autore di «Rivoluzione e dintorni», pubblicato dall'Editoriale Pantheon, sono intervenuti il vice presidente del Senato, Domenico Fisichella, il consigliere d'amministrazione Rai ed intellettuale d'area, Marcello Veneziani, il saggista Fausto Gianfranceschi, il direttore del Secolo d'Italia, Gennaro Malgieri e il direttore de «Il Tempo», Franco Bechis. Fisichella ha vestito i panni del fine politologo che è sempre stato per analizzare il concetto di rivoluzione dal punto di vista etimologico: quel «tornare allo stato originario» nato in astronomia e trasformatosi in «abbattimento per vie violente e illegittime di un ordinamento giuridico-politico». È tramite questa differenza che si può dire che la Rivoluzione Francese fu sì una rivoluzione, ma non lo furono invece quella inglese e quella americana. Ed è proprio dalla rivoluzione del 1879 - che come ha ricordato Bechis «ha formato la mentalità con cui siamo cresciuti» - sono nate anche le deformazioni peggiori: «La divisione dell'umanità in due, da una parte i buoni, dall'altra i nemici dell'uomo nuovo che per questo vanno eliminati», ha spiegato Gianfranceschi. Di «effetto virale» dagli effetti dirompenti ha invece parlato Veneziani: «È della Rivoluzione francese l'idea di trasferire il paradiso in terra, creando un mondo ideale cui va sacrificato il presente». Pedrizzi ha poi concordato con Malgieri nell'indicare i veri nemici del giacobinismo: relativismo etico, egualitarismo, ideologia della democrazia, e perdita dell'identità.