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«L'Italia farà la sua parte in Iraq» Sulla richiesta di un nostro contributo comunque si pronuncerà il Parlamento

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Lo ha detto il ministro della Difesa, Antonio Martino, durante la trasmissione Porta a porta, precisando che la richiesta di un contributo verrà presa in considerazione e che poi sarà il Parlamento a pronunciarsi. Martino ha anche sottolineato che «il futuro dell'Iraq deve essere nelle mani degli iracheni» e che «la fase preparatoria alla transizione verrà fatta coinvolgendo il più ampio numero delle forze politiche presenti in Iraq». In questi giorni,anche se nulla ancora è deciso, gli Stati maggiori stanno già facendo i conti con le risorse a disposizione. I soldati italiani impiegati oggi «fuori area» sono già 9.000 (per la precisione 8.999) e, allo stato, non si prevedono importanti disimpegni negli attuali teatri operativi. I tecnici, dunque, parlano del possibile schieramento in Iraq di un contingente di «qualche migliaio di uomini», comunque non più di 2.000. Un numero che sarebbe in linea con il ruolo non secondario che Usa e Gran Bretagna intenderebbero affidare all'Italia nella fase di ricostruzione. Al vaglio è anche quale sarà il modello da seguire («Kosovo», con spiccate caratteristiche di peace keeping; oppure «Afghanistan», con una task force più contenuta e dall'assetto «combat»). Dipenderà dai compiti e dall'area di intervento. Il nord e il sud del Paese sono considerati più a rischio. In ogni caso, ci sarà un'aliquota di carabinieri, sia per le funzioni di polizia militare, sia per eventuali rastrellamenti e interventi di ordine pubblico. Di questo possibile contributo hanno parlato ieri i premier Blair e Berlusconi: la Gran Bretagna ha chiesto all'Italia di partecipare alle attività del dopo-guerra e il discorso sarebbe caduto proprio sui militari dell'Arma, che hanno dato vita in Kosovo e nei Balcani ad un esperimento riuscito e molto apprezzato, anche dagli Usa. In Italia esiste un battaglione di carabinieri specificamente addestrato alle missioni internazionali: da qui verrebbe attinto il grosso del contingente dell'Arma, e non mancheranno i paracadutisti del Tuscania. Per il resto, molto probabile è un'aliquota dell'Aeronautica militare per motivi logistici. In base ai compiti che verranno affidati agli italiani, poi, sarà definito il nocciolo duro del contingente, in cui un ruolo importante avranno le componenti specialistiche, in particolare quella Nbc (contro la minaccia nucleare, batteriologica e chimica), quella Eod, per la bonifica di ordigni esplosivi, e quella sanitaria, con l'allestimento di ospedali da campo. Se poi l'Italia dovrà occuparsi della ricostruzione della rete infrastrutturale - a cominciare da aeroporti e strade, proprio come avvenuto in Kosovo - i militari del Genio saranno indispensabili. In caso di impiego nella fascia meridionale del Paese, quella che comprende anche la città di Bassora, è ipotizzabile un contributo navale. A Timor Est fu utilizzata la nave San Giusto, che è dotata anche di un efficiente ospedale, con una consistente aliquota di marò del battaglione San Marco e mezzi anfibi. Infine, a difesa del contingente nazionale e a protezione dei convogli umanitari saranno utilizzati alcuni distaccamenti di forze speciali: in campo sia i commando dell'Esercito (Col Moschin) che quelli della Marina militare (Comsubin).

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