di LANFRANCO PALAZZOLO QUANTE divisioni tra pacifisti.
Il politologo Giovanni Sartori avverte su che questo estremismo «costerà caro all'Ulivo», Massimo D'Alema ricorda come il pacifismo non può bastare ammonisce che se «si affermasse la tentazione del tanto peggio tanto meglio, le conseguenze sarebbero assai negative, in primo luogo per noi». Le stesse cose diceva quasi un mese fa il professor Michael Walzer, voce autorevole del pacifismo moderato americano che metteva in guardia chi voleva la pace spiegando come «il pacifismo, che pure è una componente importante della sinistra, non può essere la voce predominante o esclusiva». La Chiesa non è entusiasta della voce del fronte pacifista e lo ha detto il 16 marzo scorso attraverso le parole di monsignor Martino, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace: «Giovanni Paolo II — ha detto — ha pronunciato in questo frangente storico, parole che si elevano ben al di sopra degli slogan di un certo pacifismo o a quelli del movimento contrario, entrambi seriamente a rischio di deriva ideologica e di unilateralismi». E il cardinale Dionigi Tettamanzi ha detto che «è la stessa coscienza a dirci che la pace non è solo assenza di guerra, non è pacifismo, non è prepotenza passata in giudicato». Ma nessuno ha sottolineato queste parole con la dovuta attenzione. Di certo non le hanno apprezzate quelli di «Progetto comunista», la minoranza di sinistra di Rifondazione, che tiene a far sapere che «non abbraccia il neutralismo pacifista: sta incondizionatamente dalla parte dell'Iraq contro l'aggressione criminale angloamericana». Queste posizioni non sembrano aver contribuito a diminuire la violenza. Se ne sono accorti sabato a Cosenza dove i «disobbedienti» hanno fatto irruzione nella sede di FI, i cittadini americano che hanno subito atti di vandalismo, dai quali, nell'opposizione, si è dissociata subito la Margherita: «Nessuno merita che a questi personaggi — fa sapere il partito di Rutelli — si possa minimamente accostare qualsiasi patente di pacifismo». Patente di pacifista doc che ha pensato di autoassegnarsi il candidato del centrosinistra alla provincia Gasbarra: ha messo nel suo manifesto elettorale la bandiera della pace, lasciando intendere che la provincia di Roma non entrerà in guerra contro nessuno. Immediatamente, il gruppo non violento Lilliput ha chiesto al candidato del centrosinistra alla presidenza della Provincia di Roma di non utilizzare nei suoi manifesti la bandiera della pace a fini elettorali. Ma tutto è finito a tarallucci e vino. Già perché poi Lilliput ci ha ripensato, ritirando le proprie critiche e dopo qualche giorno ha annunciato che incontrerà il candidato del centrosinistra alla provincia di Roma per confrontarsi sulle prospettive future che la sua eventuale amministrazione intende dare ad una politica a sostegno della pace. L'organizzazione chiede di fare altrettanto all'altro candidato, l'attuale presidente Silvano Moffa, a cui rivolge l'invito ad esporre la bandiera della pace.