Pensioni, i sindacati respingono la decontribuzione
Allora il ministro Maroni scoprirà le sue carte, rispetto alle quali è facile prevedere che confermerà la volontà di procedere sulla linea prefissata, che comprende anche la decontribuzione per i neo-assunti. Ed è proprio sul «no» a questa misura che Cgil, Cisl e Uil sono d'accordo, argomentando anche che apre un buco nei bilanci Inps che metterà a rischio le pensioni del futuro. Maroni non sembra intenzionato a fare marcia indietro su quello che anche Confindustria giudica uno dei punti chiave della riforma. Il ministro, a chi critica la norma, continua a ricordare che la delega prevede comunque l'invarianza del trattamento pensionistico, che la decontribuzione riduce il costo del lavoro dei neo-assunti e rappresenta quindi un incentivo forte per creare nuova occupazione e, infine, che il buco è coperto dall'aumento dei contributi dei Co.co.co. e dalle eventuali, ulteriori coperture, che verranno individuate di volta in volta dalle leggi finanziarie. Anche sul Tfr non sembra in vista alcun dietro-front, mentre è probabile che il Ministro accolga la richiesta sindacale di confermare l'attuale trattamento fiscale privilegiato per i cosiddetti fondi «chiusi». Quelli gestiti da imprese e sindacati, che anche il Welfare ammette essere capaci di offrire, oggi come oggi, maggiori garanzie dei fondi «aperti», gestiti in larga parte dai privati. Queste aperture però, almeno per il momento, sembrano insufficienti ad accontentare il fronte sindacale, che ha rafforzato il «no» alla delega con un documento unitario inviato al governo, che non sembra lasciare margini di trattativa in particolare sulla decontribuzione. Per Cgil, Cisl e Uil, che ieri hanno rappresentato la loro posizione davanti alla commissione Lavoro del Senato, la decontribuzione minerebbe «il delicato equilibrio realizzato con le riforme già fatte, mettendo in discussione sia la sostenibilità finanziaria del sistema, sia la necessità di garantire pensioni adeguate a tutti i lavoratori, compresi i più giovani». Sulla previdenza complementare Cgil, Cisl e Uil sostengono che la strada giusta da seguire è quella degli incentivi fiscali (sollecitati anche dalla commissione Finanze del Senato) lasciando libero il lavoratore di dirottare o meno il Tfr verso i fondi negoziali. Anche perché con l'instabilità che c'è sui mercati finanziari il Tfr può trasformarsi in un «capitale di rischio», senza le garanzie di rendimento fornite dall'attuale trattamento di fine rapporto. Tra tante critiche, Cgil Cisl e Uil hanno però anche qualche motivo di compiacimento, come per la soppressione da parte della Camera della norma sulla novazione del rapporto di lavoro per i lavoratori che intendono rinviare il pensionamento e per l'estensione dell'obbligo assicurativo dei lavoratori associati e degli «occasionali». Anche se, a giudizio dei sindacati, quest'ultima norma deve essere ulteriormente perfezionata. I sindacati rivendicano inoltre il merito di aver respinto sul nascere qualsiasi ipotesi di taglio alle pensioni di anzianità o di disincentivo. Il leader della Cisl, Savino Pezzotta, si è mostrato aperto alla trattativa: resta il «no alla decontribuzione, ma si possono trovare altri strumenti, abbiamo detto che non va bene questo metodo, se ne può cercare un altro». Sulla questione della sorte del Tfr, è intervenuta ieri anche la Confederazione delle piccole industrie (Confapi), respingendo il conferimento obbligatorio del Tfr, anche perché ciò «provocherebbe gravissime conseguenze finanziarie per le piccole e medie imprese». Il presidente della Confapi, Roberto Radice, in una lettera indirizzata al ministro Maroni, rileva che non si tratta solo di un problema di compensazione di costi: «La decontribuzione per i nuovi assunti non può essere considerata facente parte della compensazione, visto che — sottolinea — essa si applicherebbe alle sole nuove assunzioni, mentre il conferimento obbl