Aviano e Sigonella in allarme rosso
Autorevoli fonti militari, pur precisando che nessuna decisione sul conflitto è stata ancora presa, non nascondono questa circostanza. Ad Aviano e Sigonella è stato anche innalzato il livello di allerta, che da ieri è passato da Bravo a Charlie, il terzo su una scala di quattro. Una «misura di precauzione», questa, che è stata però decisa per tutte le forze americane in Europa (e riguarda quindi tutte le installazioni italiane), in Africa e in Medio Oriente. Le forze armate americane hanno già pianificato le attività che potrebbero svolgersi in Italia. Attività che saranno essenzialmente di supporto tecnico-logistico. La messa a disposizione delle basi, come già avvenuto nel '90 per la guerra del Golfo, servirà «per il transito e il supporto logistico di velivoli e truppe». In pratica, le basi italiane servirebbero essenzialmente per lo scalo di aerei da trasporto; per il rifornimento; per il carico e scarico di personale, mezzi e materiale; per ospitare gli aerei-cisterna Kc 135, necessari per rifornire in volo i caccia impegnati nelle azioni di bombardamento. Improbabile, poi, vista la distanza dell'area di operazioni, che dall'Italia possano partire i caccia per gli attacchi in Iraq. Insomma, si tratterebbe del ruolo affidato a quelle che tecnicamente vengono definite «basi di retrovia», comunque importanti per il sostegno logistico delle forze in campo. Il discorso vale soprattutto per la base Usaf di Aviano, una delle più grandi degli Stati Uniti fuori dal territorio americano, e per quella di Sigonella, che ospita anche i marines della Sesta flotta e che già nella guerra del Golfo dette un contributo importante. Sono queste, infatti, le sole dove oggi risiedono permanentemente aerei americani. Ma le basi aeree italiane idonee ad ospitare e supportare velivoli impegnati in operazioni belliche sono molte di più e distribuite su tutto il territorio nazionale: complessivamente una dozzina, molte delle quali hanno dato un sostegno indispensabile nelle operazioni nei Balcani: da Istrana a Ghedi, da Villafranca a Piacenza, da Cervia a Trapani, da Amendola a Gioia del Colle, a Grazzanise, a Brindisi. Tuttavia, la mappa delle installazioni militari italiane che potrebbero essere indirettamente coinvolte in un'attività di sostegno alla guerra contro Saddam non comprende solo le basi aeree. Gli Stati Uniti, per la movimentazione di uomini, mezzi e materiali, hanno finora utilizzato soprattutto gli aeroporti (e non solo quelli militari: il ministro Giovanardi ha oggi detto che a Malpensa e Fiumicino, dal mese di gennaio, hanno fatto scalo una media di tre voli americani al giorno), ma anche i porti e le ferrovie. La base navale di Gaeta, quartier generale della Sesta flotta della Us Navy, potrebbe essere sicuramente interessata al conflitto, e così i porti di Napoli e quello di Livorno, a due passi da Camp Darby, il più grande arsenale americano all'estero. E una base della marina Usa è anche a La Maddalena, in Sardegna, mentre dalla caserma Ederle di Vicenza sono di recente partiti i paracadutisti della 173/a brigata aerotrasportata della Setaf (Southern european task force).