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di DAVID MURGIA PIÙ che un appello alla pace è una vera profezia apocalittica quella ...

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Eccoli i fondati timori del Papa, espressi chiaramente ieri in piazza San Pietro, che vede in un ormai inevitabile conflitto contro l'Iraq, «tremende conseguenze». Conseguenze che addirittura potrebbero sconvolgere il corso della storia dell'intera umanità. Conseguenze così terribili da costringere il Santo Padre ad alzare la voce contro il rais iracheno Saddam Hussein, a cui chiede con forza di collaborare con la comunità internazionale, e contro il Consiglio di Sicurezza dell'Onu, a cui chiede di ricordarsi che l'uso della forza è «l'extrema ratio». I pericoli che il Pontefice e la Santa Sede temono in caso di conflitto sono molti. In primo luogo il pericolo di una rappresaglia dei musulmani, che vedrebbero in questa guerra la «quarta» crociata dei cristiani contro i fedeli di Maometto e che pregiudicherebbe tutto ciò che fino ad oggi è stato faticosamente fatto dal Vaticano sul piano del dialogo inter-religioso. E poi, oltre alle sofferenze del popolo iracheno, la reale possibilità di una interruzione delle già delicate relazioni che la Santa Sede intrattiene con i governi dei Paesi mediorientali a maggioranza islamica per salvaguardare l'operato di migliaia di missionari. Ma c'è di più. La Terra Santa, a cui il pensiero del Papa va costantemente, da un nuovo conflitto ne uscirebbe ancora più provata e i Luoghi sacri continueranno ad essere bagnati di sangue. Il Papa non demorde. C'è ancora tempo per la pace. E c'è ancora tempo per la diplomazia e il dialogo. Anche se, per il Papa, le migliori «armi» contro la guerra rimangono il digiuno e la preghiera.

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