«Per il sindacato è stato un grande successo riuscire a mantenere un investimento di 2.400 miliardi di lire»
Bisogna guardare avanti. Il Consiglio comunale di Civitavecchia ha riaperto la porta al dialogo. E l'Enel non ha perso l'occasione: si è fatta carico delle preoccupazioni della popolazione e ha raccolto l'invito rivoltole alcuni giorni fa dal segretario della mia confederazione, Savinio Pezzotta, a non rinunciare all'investimento su Civitavecchia». Arsenio Carosi, segretario nazionale della Cisl Flaei, accoglie con favore la disponibilità del Comune a esaminare la nuova soluzione prospettata dall'Enel. Il sindacato è sempre stato schierato contro il no a priori alla riconversione della centrale di Torrevaldaliga Nord a carbone, invitando a valutare i dati oggettivi sull'effettiva compatibilità ambientale del progetto Enel. Tutto a posto, quindi, o potrebbero ancora sorgere nuovi ostacoli alla realizzazione del progetto? «Ora che la ragione sembra prevalere, bisogna che tutte le forze sociali della città, a partire dai sindacati e dagli imprenditori, si mobilitino con forza, perché le istituzioni portino rapidamente a conclusione questa vicenda. Dobbiamo dare certezze sul futuro della centrale, ai lavoratori e alle imprese che saranno coinvolte nei lavori di riconversione». Quando sarà avviato, che riflessi avrà il nuovo progetto sulla situazione economica della città? «Riuscire a mantenere a Civitavecchia un investimento di 2.400 miliardi di lire è un grande successo di quanti, anche nel sindacato, hanno sempre ricercato un accordo senza pregiudizi e forzature. È un investimento che darà lavoro per cinque anni a 1.600 famiglie e coinvolgerà decine di aziende locali, producendo un indotto considerevole. Tutto questo, sia chiaro, a fronte di tutte le necessarie garanzie su una sostanziale riduzione delle emissioni». Ma quante saranno le persone coinvolte? «Bisogna distinguere tra la fase di cantiere e quella di funzionamento. La prima durerà alcuni anni e, nella fase di punta, darà lavoro a 6-7 mila addetti. Una volta conclusi i lavori, un impianto a carbone occupa almeno cinque volte i lavoratori di una centrale a turbogas a cicli combinati, cioè 400 persone, alle quali vanno aggiunte quelle impegnate nelle attività di sostegno, altre 600». E i tempi per la realizzazione? «Da quando partono i lavori alla conclusione ci vorranno cinque-sei anni». Il carbone può sembrare però una fonte energetica d'altri tempi. «È esattamente il contrario. Si tratta della forma più moderna e lungimirante che esista. Sulla base delle scorte energetiche disponibili su scala mondiale si calcola che il carbone possa avere, se rapportato ai consumi attuali, 200 anni di vita, in confronto ai 60 del petrolio e ai 40-50 che offrono le scorte di gas naturale. Inoltre, i giacimenti di carbone si trovano in Paesi con maggior stabilità politica. Proprio a causa del pregiudizio che l'Italia ha sempre avuto nei confronti del carbone, nel nostro Paese solo l'8 per cento dell'energia prodotta proviene da questa fonte, rispetto al 30 per cento di quanto avviene sul scala mondiale». Ma l'impiego di un certo carburante influenza il costo della bolletta? «Certamente. Da tempo sosteniamo che non saranno la liberalizzazione del mercato elettrico nè la privatizzazione a far diminuire il costo delle bollette. Le bollette italiane sono le più care d'Europa perché non usiamo nè il carbone nè il nucleare. Se non vogliamo farci colonizzare da francesi e tedeschi dobbiamo usare le loro tecnologie. L'energia elettrica è un fattore strategico nello sviluppo economico del Paese. L'Enel deve mirare a diventare autosufficiente». E l'inquinamento? «Essendo stati risolti i problemi delle ceneri e dello zolfo, il carbone non è più inquinante. Le tecnologie attuali consentono di blindare i trasporti, pertanto non ci sono più le ceneri. E neppure lo zolfo, grazie ai nuovi sistemi di captazione. Oggi il carbone inqui